Caligola secondo Nekrosius
[TEATRALMENTE]
Il ritratto che ne fa Svetonio ne Le vite dei Cesari è quello di un uomo molto alto, dal fisico nervoso, calvo dagli occhi incavati e penetranti, il cui sonno non durava più di tre ore per notte, turbato da strane visioni. La stessa immagine inquieta viene restituita, molto tempo dopo (1941), nel dramma di Albert Camus, messo in scena il 1 ed il 2 Luglio scorsi al Festival Internazionale di Villa Adriana a Tivoli, da Eimuntas Nekrosius.
L’estro geniale del regista lituano si esprime ancora una volta secondo le aspettative, aiutato dalla cornice suggestiva scelta per la messa in scena. L’operazione non era di certo delle più facili: Caligula è un testo innanzitutto filosofico, che concede libertà agli attori e al regista e la profondità dei pensieri di Camus nella loro asciuttezza – quasi arida – di per sé non si conciliano con la suggestione emotiva che caratterizza lo stile di Nekrosius.
L’imperatore Caligola è un uomo straziato e diviso: la scena si apre sulla sua fuga, dopo la morte della sorella, amante, dea, Drusilla. Quasi una fuga da se stesso: ha perso il perno della sua esistenza, la sua vita emotiva e si trova in una condizione drammatica, in cui la sua intera scala di valori è infranta. Ciò che resta è una smania d’impossibile, che già conosceva, amplificata all’ennesima potenza dal dolore e dalla furia disperata di volersi ribellare all’ordine delle cose. E’ così che l’attaccamento a un potere terreno si fa sdegno e crudeltà. Caligola pretende la luna, la insegue, si fa egli stesso Luna e Dio, Venere. A segnare la perdita di individualità e le passioni di cui Caligola è in balia, c’è un soprabito rosso che Caligola dismetterà solo in una scena, bellissima: a colloquio con l’amico e poeta Scipione, tra i due nascerà un gioco, un’evocazione, nella quale l’imperatore ritroverà per un attimo la sua serenità.
Intorno al sovrano, interpretato da Yevgeni Mironov, un manipolo di patrizi ed una scenografia in lamiera ondulata. Un’ambientazione che comunica un senso di squallore in cui l’uomo rinuncia alla sua dignità: l’attore urina in una scodella, i figli sono sacchi pronti ad essere gettati nella cuccia del cane, le matrone patrizie diventano oggetto delle voglie capricciose del sovrano. Come sfondo a tutto questo c’è la musica, una musica continua. Umana. I temi di Wagner, Brukner, Haendel pervadono lo spettacolo senza interruzione, ma sempre solo come accenni, senza mai evolvere completamente.
Caligola morirà in una congiura, urlando “Alla Storia”. Al momento di agire ai cospiratori, che in fondo riconoscono in se stessi le bassezze del protagonista, sarà lo stesso Caligola ad incitarli nel suo delirio di potere. Morirà tra i frammenti di specchio branditi dai congiurati, nei loro giochi di luci: quasi il suicidio (tema caro allo scrittore francese) di un Io frammentato.
Alice Salvagni
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