La “nuova” Alexia
Alexia torna con Stars, il suo nuovo EP. Un’intervista per un viaggio attraverso la carriera di una delle artiste più conosciute in Italia e nel resto del mondo, il racconto di una donna che ha conosciuto a fondo i meccanismi che guidano il mercato della musica e che si è messa a completa disposizione dei lettori e degli artisti emergenti…
…senza la pretesa di essere una guida, ma con l’umiltà che ogni vero artista ha, che, partendo dai suoi momenti difficili, non smette mai di crescere e migliorarsi, senza mai perdere di vista quello che è più importante: la voglia di comunicare e la passione per il proprio lavoro. In una calda e afosa mattinata di agosto, in una Roma semideserta avviene l’incontro tra me e Alessia Aquilani, una donna diversa da quella che ricordiamo, ma con la disponibilità, lo sguardo sorridente e la gioia che da sempre la contraddistinguono. Si parte.
Sei cantautrice, compositrice, arrangiatrice e produttrice discografica, chi è Alexia?
Credo che oggi sia un’esigenza quella di spaziare attraverso i vari ruoli che questo lavoro impone. Una volta c’erano grandissimi autori, grandissimi parolieri, grandissimi produttori, maestri di canto, maestri di dizione, oggi queste figure si sono un po’ mischiate, un po’ perse. La capacità di un artista, dopo varie esperienze, è quella di capire qual è la sua indole artistica, capire cosa veramente vuole fare per poter poi sul palco sostenere ciò che fa. E’ inevitabile, durante la realizzazione di un progetto, intervenire nella fase produttiva, nella fase creativa, intervenire nella fase dell’arrangiamento, ovviamente in termini ridotti, per quanto mi riguarda, non sarò mai un produttore artistico come ce ne sono altri, però sicuramente se c’è un passaggio che non mi rappresenta, una frase che non mi va di cantare perchè non fa parte del mio vocabolario, non fa parte della donna, come intendo io donna, assolutamente devo dirlo.
Questa libertà di esprimere le tue esigenze, di dire la tua opinione ha sempre accompagnato la tua carriera fin dagli esordi o è una cosa che hai acquisito adesso, dopo anni di esperienza?
Decisamente è una cosa che ho adesso e devo fare molta attenzione, la troppa libertà può far trascendere in cose troppo strane.
Analizzando la tua musica si nota subito l’ecletticità della tua musica, hai comunicato e comunichi ancora oggi attraverso tanti generi, ma chi sono i tuoi modelli, se ne hai, e che musica ascolti?
Io ho sempre ascoltato, quando ho acquistato la capacità di ragionare, perchè quando sei giovanissimo ascolti di più la musica commerciale, ma anche le cose più strane, ho sempre riletto la musica che veniva dal passato: Jazz, R&B, tutte cose che una volta venivano fatte con dei criteri strepitosi, la “big bang”, cantanti incredibili che sono state Sarah Bowman, Nina Simone, Aretha Franklin, Lisa Minelli, ho sempre aspirato ovviamente a poter cantare un granello di quello che hanno fatto con le loro capacità. Poi ovviamente ho dovuto trovare la mia strada, perchè non sono nata a Las Vegas, non sono nata a Los Angeles, ma sono nata in Italia ed è stato difficilissimo . Agli inizi non riuscivo a trovare un cammino mio che potesse adeguarsi alle sonorità dell’epoca e quindi sono approdata alla musica dance con maggiore facilità e maggiore convinzione, sapendo che non sarebbe stato un cammino infinito, un momento di passaggio, sapevo che sarebbe finito.
Quindi nel momento in cui hai intrapeso il percorso che ti ha portato alla musica dance eri consapevole che sarebbe durato poco?
Sì, sapevo che la musica dance non avrebbe avuto un periodo eterno perchè era considerata musica di facile consumo, però mi ha dato la possibilità di imparare il mestiere in modo professionale. Ho iniziato a fare la vocalist in sala di registrazione, a dover eseguire brani non miei, ma che mi hanno aiutata a capire, per esempio, le esigenze dei produttori, degli artisti, ed avere comunque un occhio di riguardo verso quella che era la mia manifestazione fino a diventare, con il tempo, una delle più richieste. Finalmente nel 1994 ho iniziato il mio percorso personale.
Ma quindi sei approdata nella musica dance non perchè la tua arte si sentiva espressa attraverso quel genere, ma perchè hai visto che era un genere che poteva darti la possibilità di entrare nel mondo della musica?
E’ stata un’esperienza che è nata contemporaneamente ad un’esigenza. Per “mangiare” avevo questa cover band dalla quale io non solo riuscivo a tirar fuori il mio stipendio, ma mi dava anche la possibilità di cantare vari generi ad un certo livello. Ad un certo punto ci fu il boom della dance e iniziammo ad aggiungere nel nostro repertorio alcuni brani dance che all’epoca erano famosissimi. Con questa esperienza riuscì a scoprire che il mercato era interessato al mio timbro vocale e che quella sarebbe potuta essere la mia strada. E’ chiaro che questa è una strada che ho battuto perchè era un momento in cui era intelligente batterla.
La scelta dell’inglese quindi è stata dettata quindi dal genere?
In parte si, anche se, a dire la verità, mi veniva molto più facile usare l’inglese.
Ad un certo punto hai deciso di cantare in italiano perchè? Che cosa è successo? Sei passata da una lingua che ti dava visibilità a livello internazionale ad una che un po’ forse ti limitava.
La musica dance ha dato il massimo che poteva dare fino al 1999-2000. In seguito io, fortunatamente, già intravedevo, nei confronti della major con cui lavoravo all’epoca, che c’era l’interesse a farmi fare cose che poi nel nostro paese, ma anche all’estero, avrebbero avuto più riscontro, artisticamente parlando, commercialmente è evidente che a qualcosa dovevo rinunciare. In realtà poi ho avuto la fortuna di trovarmi tra le mani un pezzo che avevo scritto con un mio collaboratore, che poi si intitolerà “Dimmi come”, che è stato il compromesso giusto per poter approdare su un palcoscenico importante come quello di Sanremo, con la lingua italiana però con una canzone che non è che poi fosse così diversa dal mio percorso precedente. Se fossi partita con Sanremo con una canzone all’insegna della “ballatona” pop italiana probabilmente non sarei stata in grado di sostenere quel palcoscenico. Comunque, devo dire che quando vado all’estero la gente sa perfettamente che io canto sia in inglese che in italiano e vengo comunque apprezzata. Durante i miei live parto dal mio primo hit fino al mio ultimo singolo. La gente ormai conosce me, non conosce un periodo o un altro periodo. Devo dire che il lavoro più faticoso, quello della transizione, fortunatamente è stato superato e oggi le cose che faccio sono di maggiore qualità, ovviamente. Oggi posso fare un concerto di due ore, prima anche all’estero potevo fare 20 minuti mezz’ora.
Attualmente i trovi meglio a comporre con l’inglese o con l’italiano?
Oggi mi trovo bene con entrambi i linguaggi. Ho trovato un mio sistema per poter cantare quello che mi fa sentire a mio agio. Ho fatto quasi sempre testi in inglese, quindi poi arrivare ai testi in italiano è un lavoro durissimo, però ho un equipe, che mi sta molto a cuore, con il quale, insieme, cerchiamo di tirar fuori dei concetti importanti. Ormai è un’abilità che ho acquisito, dopo tanti anni di sofferenza, nell’invertire le parole in modo tale che le sincopi, le consonanti, il gerundio, riescono a inserirsi la dove la sincope, l’americanata diciamo, va a coincidere perfettamente con il suono della nostra lingua italiana. Cosa che già avevano scoperto Mogol e Battisti,però è complicato. Ovviamente non bisogna mai perdere di vista la poetica della canzone, la poetica è quella che ti aiuta, a catturare un profumo un idea un immagine, il pubblico deve avere una visione, sentire quell’idea.
Continuando ad analizzare il tuo percorso, nel 2004 registri in America il tuo ottavo album “Gli occhi grandi della Lune”, che vanta prestigiose collaborazioni internazionali (n.d.r. Sam Watters e Louis Biancaniello, produttori dei più grandi successi di Anastacia e Diane Warren, autrice di canzoni interpretate da Aretha Franklin, Tina Turner e Barbra Streisand), esce nei negozi di dischi il 1 giugno, ma il cambio di genere musicale non convince molto il pubblico e l’album ottiene un modesto successo. Secondo te, perchè?
Secondo me perchè c’è stato un errore di scelta del primo singolo. Non puoi scegliere un singolo “Natalizio” quando tutti vanno al mare. Anche se ricordo che comunque, quando andavo in televisione, ricevevo telefonate di gente che lavora con Bocelli, da Binelli, uno dei flautisti più grandi del mondo, che tutto il mondo ci invidia, che mi diceva che era la più bella che avessi mai fatto. Purtroppo la casa discografica mi ha chiesto di presentare quel brano e io ero un periodo in cui le mie capacità decisionali erano ridotti ai minimi storici, era un momento in cui non stavo molto bene con il mio entourage e ha condizionato il lavoro. Per fortuna ci sono stati altri episodi che sono stati importanti in quell’anno come la collaborazione con Renato Zero, quindi comunque ho un bel ricordo di quel momento. Questo dimostra significa che anche se lavori con i più importanti, produttori importanti, con mezzi importanti, se non c’è la convinzione, la consapevolezza da parte dell’artista, può anche non funzionare. I progetti nati per fare successo, non sempre fanno successo.
Pensi che oggi paghi ancora per i compromessi che hai dovuto accettare agli inizi della tua carriera?E’ difficile uscire dall’immagine che la TV dà di te in un determinato momento. Molti non sanno del tuo cambiamento di rotta e per loro rimani incastrata nell’immagine che la televisione ha fatto di te tanti anni fa.
Nella copertina del mio Ep ho messo la televisione proprio perchè voglio uscire dalla televisione e rimanere comunque me stessa, non perdere di vista che sono. La televisione e’ un contenitore e l’artista è un contenuto. Tu sei fotografato in quel momento e per l’immaginario vuol dire che sei così. E’ assolutamente vero, ti fanno una fotografia e, se vieni bene, rimani così. Non si può fare una fotografia migliore, far capire che sei diventato uno foto in bianco e nero, piena di poesia. Purtroppo è stato così. Il difficile è stato capire dove stavo, bisogna trovare la propria strada al di fuori di quell’immagine. Bisogna tenere duro, convincere che tu sei quello che fai, quello che ti parte da dentro, non quello che è dentro quella scatola. Devi mantenere la tua forma al di là del contenitore. Quello che non succede a molti è proprio questo, non hanno integrità quindi perdono la loro forma e l’acquistano soltanto entrando nel contenitore.
Finalmente è arrivato il momento di parlare del tuo ultimo lavoro, del tour e di Radio Alexia.
Allora, Radio Alexia, è una canale web in cui la gente trova solo le mie canzoni, ho voluto farlo perchè credo che se qualcuno ha voglia di conoscere e approfondire il percorso di un’artista lo deve poter fare senza andare a comprare tutti i dischi. Questo EP che ho pubblicato il 22 giugno credo rappresenti il coraggio che ho dimostrato negli ultimi anni. Ci sono sei canzoni, una diversa dall’altra, questo perchè non ho paura di variare, mi piace fare la dance, e faccio un pezzo dance, “Stars”, però ti parlo di qualcosa di “tosto” che è il desiderio di andare in televisione che però spetto è un’arma a doppio taglio, un pezzo pop rock, “L’amore in superficie”, che analizza gli uomini di oggi che hanno l’esigenza di scappare di sfuggire, situazione devastante, “I dreamed a dream” che parla di come sia assurdo sedersi a pranzo, sentire che ci sono dei disastri nel mondo, in una totale indifferenza. Continui a fare la tua vita, a mangiare a colmare la tua giornata intanto qualcosa di tragico è succeddo. Si parla tanto dei fatti della nostra politica italiana, dimenticando altre notizie come ad esempio le catastrofi naturali. Non mi sta bene come donna, come madre, come essere umano dotato di più sensibilità in quanto programmata a riprodurmi . Mi chiedo: cosa sta succedendo?Cavolo siamo diventati matti? In questo pezzo ho chiesto ad Angelo Branduardi di suonare il violino perchè lui lo suona con una forza, con una vibrazione piena di rabbia, di passione di colore, ma anche di speranza. E poi c’è Perfect day, che è quella che preferisco perchè è in R&B, però in italiano. Sono riuscita nell’intento a sistemare le parole come volevo ed è pieno di speranza. Parla di cosa si prova quando ci si liberi da una catena, come quando smetti di fumare e senti il palato più pulito e tutto riprende colore. Cerco di raccontare l’attualità, quello che sta succedendo oggi, la difficoltà di avere un futuro chiaro, però vedo anche la possibilità di ribellarci di sprigionare un’energia positiva soprattutto partendo dall’arte, partendo dalla musica fino ad arrivare alle forme d’arte più ambiziose come il cinema, la scrittura.
Quale genere musicale adesso ti rappresenta di più, ti permette di esprimerti meglio adesso?
Sarà sempre l’R&B, anche se cantato in italiano, anche se un poì camuffato però è sempre l’R&B. Ho accettato la collaborazione con Mario Lavezzi perchè uno dei pochi italiani che riesce a scrivere un pezzo che sembra “pop italiano” e in realtà ha una scrittura molto swing.
Un ultimo consiglio per i giovani artisti che hanno il desiderio di entrare nel mondo della musica.
Spesso i giovani artisti mi chiedono “cosa bisogna fare per diventare famosi?”, ed è una domanda sbagliata. Bisogna prima ambire a poter far bene questo lavoro con passione e competenza anche senza essere conosciuti. Noi diamo il meglio di noi lungo il percorso, quando ci prepariamo a raggiungere un tranguardo. E’ necessario avere uno spirito equilibrato e integro, ma senza dimenticarci mai il genio folle, ribelle, quello deve esserci sempre e bisogna saperlo mantenere vivo.
Finisce così la lunga chiacchierata con Alexia che senza paura di dire la verità ha parlato di se e della sua storia. Un esempio per tutti, per tutti colororo che hanno voglia di mettersi sempre in discussione per non perdere la propria spontaneita, la propria natura, correndo dei rischi e avendo la forza e la determinazione di ricominciare. La carriera di Alexia è il racconto di cammino di un’artista che lotta e che è sempre in salita verso la libertà di esprimere completamente la sua anima. Buon viaggio!
Paola Zuccalà
Alexia Webradio
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