PITTURA IV_ Dalle galline alle alici marinate!
Luca Grimaldi dipinge su tela ma anche su pannelli di legno, e lo fa con una tecnica classica da Scuola Romana, nel rispetto della verosimiglianza e dando l’impressione di tridimensionalità e presenza visiva e di spirito sia alle signore anziane sia ai piccioni.
Il colore volutamente non raggiunge mai la pienezza forse banale di una visione cromaticamente satura, ma cattura l’anima vintage d’un mondo ruspante, lasciando il trattamento cromatico ad uno stadio in cui sembra di vedere il ritratto o la scena provinciale in un disegno su carta da spolvero, ed infatti il colore ocra ed il grigio predominano nella ricostruzione para-pasoliniana di situazioni schiette e ai margini, in cui le ascendenze barocche del pittore (El Greco, Guercino, De Ribeira) si stemperano nel clima pensoso di giornate ordinarie e nuvolose in cui gallinelle disorientate si piazzano al centro di rotatorie della periferia urbana. Grimaldi finora ha trascurato l’architettura però, per seguire il suo istinto, che gli detta soprattutto una ritrattistica polputa, in cui con sicure pennellate riporta le sfaccettature di luce sui volti, il suoi gusto per la ricreazione delle fattezze umane si estrinseca in pennellate vecchio stile rare in un mondo in cui anche le galline cambiano sesso per fare le supermamme, farsi ammirare dagli scienziati e portare i pantaloni, al tempo stesso (vedi il sorprendente articolo di rivista da cui l’artista ha tratto la sua foto-modella da pollaio, la gallina, insomma)!
A Davide Ciaffi durante il suo sfortunato soggiorno a Valencia è capitato, in compenso, di riepilogare tutte le scene “metaforiche” che precedentemente andava schizzando sui tovaglioli nei pub, in una summa che è un’allegoria inspiegabile con gli strumenti della pura razionalità, ma che pare sia stata dipinta con colori cupi per conferire profondità alla visione, non per suggerire stati d’animo apocalittici. In questo grande dipinto distinguiamo, in uno scenario che sembra ispirato ad Avatar, ma più malinconico, un albero della vita che nutre direttamente dei cuccioli di ominide attaccati ai rami come se fossero dei boccioli, ma c’è anche uno strano ponte che sembra il ramo ritorto di un rovo spinoso, e diverse anime, ed uccelli, e isolette volanti che ricordano certi lavori dell’illustratore Roger Dean; il connubio con la natura è qui visualizzato con ampiezza onirica, “da lì si viene e lì si ritorna”, dice l’artista. Un altro quadro, precedente, ma citato all’interno di quello più grande, rappresenta l’antropomorfizzazione di una lacrima colta in tre momenti: quando sgorga, quando cade, quando si tuffa in una pozza mentre è osservata da altre simili che si sono tratte fuori, all’asciutto. Il pittore, che scrive dei brevi componimenti poetici sul retro dei suoi lavori, si è così espresso: “Come una lacrima/nasciamo nella sofferenza/come una lacrima/in caduta libera/accettiamo la sofferenza/vivremo nella felicità” E questo dolore è in corpi lasciati senza vol-to in modo che ognuno possa riconoscervi chi vuole. Dal vivo l’artista ha lavorato ad una madre con un bambino in braccio (“Madre è l’altro nome di Dio sulla bocca e nei cuori di ogni bambino”), anch’essa priva di un volto ma dotata, al suo posto, di un vortice di luce di cui il bambino, investito, si nutre.
Mauro Sgarbi non crediamo sia un raccomandato di ferro del più collerico critico d’arte italiano, piuttosto è un “Art soldier”, come recita la scritta sul retro della sua maglietta da marine, che illustra con limpidezza di visione scenari forse di altri pianeti in cui gli alberi si abbracciano ed immense onde si inarcano tre volte più alte delle catene montuose mostrando la magnificenza di forze naturali e divine insieme, per catalizzare le quali quattro conigli si dispongono a quadrila-tero. In un altro esempio della sua produzione (pop)surrealista, una formica con le zampe pog-giate sui fianchi, osserva da sotto in su un grande albero che rappresenta il suo cammino nella fatica, ma anche un’autostrada verso un cielo azzurro di meraviglia, attraversato da nuvole di i-spirazione giapponese. Senso panico ed elementi fumettistici convivono anche nel pezzo a cui l’artista ha lavorato dal vivo: una matassa di raggi sinusoidali di energia, prima fredda e poi calda, forse la terminazione di una galassia, da cui un’astronave che trasporta sotto una cupola trasparente il Colosseo, simbolo della Storia del genere umano ma anche del sangue versato per costruirla, si allontana per esportare verso l’infinito la cultura umana, si spera, non la sua inciviltà. L’artista ha studiato alla Scuola Romana del Fumetto e talvolta si esibisce del vivo in simbiosi con un gruppo di musica elettronica chiamato “Totemic Sound Connection”, e le loro improvvisazioni saranno come minimo “spaziali”!
Valerio Zaccagnini ha un approccio street che tende a spiattellare simpaticamente sulle tele personaggi a 2D dai colori brillanti, monoblocco e spesso con ciuffi tripuntuti sopra agli occhi a palletta. Gli spessori dei tratti sono neri e ragguardevoli, le campiture talvolta conoscono solo una pienezza monocroma e primaria. In un pezzo già concluso era rappresentata, con uno stile alla Haring in un ‘ipotetica versione espressionista urbana, una città sommersa dall’acqua e invasa da pesciolini grafici, con la minuta scritta: “voglio vivere in una città dove all’ora dell’aperitivo non ci siano spargimenti di sangue nè di detersivo”. Nè di cocaina, aggiungeremmo noi, viste le tracce riscontrabili nel l’acqua del Tevere! In un dittico, dal vivo, Zaccagnini provava una scenetta più aggressiva: su uno sfondo molto più “sporco”, free style, si stagliavano due delle sue figure sintetiche, una delle quali, pazza e con cribniera rossa, addentava un boccone dell’altra mostrandone la vulnerabile tridimensionalità. Su uno schermo televisivo è poi apparso un logo, “mOrte Live”, esorcismo utile a marcare in senso ironico l’atmosfera di feroce competizione che spinge gli artisti in concorso a “mozzicarsi” sui fianchi pur di ottenere una segnalazione da Ileana Nastasi!
Ilaria Aprile, già presente al MArteLive dell’anno scorso, si è lanciata nell’elaborazione non agevole di un ritratto a collage, usando i più disparati tipi di carta. Ha impostato (parola impegnativa!) il fondo con acrilici e colori a spruzzo e poi ha cercato di fare in modo che la sovrapposizione di macchie e lettere bianche stampigliate le facessero scoprire una dopo l’altra tutte le giunzioni da operare per pervenire ad un risultato bilanciato anche per chi mantiene un equilibrio tra i diversi pezzi di se stesso. Le ciglia a ricciolo che sporgevano nere e rosse fuori dall’occhio sembravano sul punto di piangere, essendo il soggetto esasperato dall’attesa di una definizione cubista, per quanto anarchica potesse sembrare durante il work in progress. In altri due esemplari finiti, si notava come la noncuranza verso le convenzioni si spingeva non solo fino alla convivenza tra tratteggio con penna a sfera e l’inserzione di forme smontate di cartone (nel manichino) ma ad una consunzione generale del soggetto che andava oltre l’esistenzialismo di Alberto Giacometti, ed immolava anche il ricordo di Enrico Baj su un altare da bricolage neo-da-daista del 3000. In un’altra opera l’artista riportava stampato in piccole strisce bianche il testo della prima lettera ai Corinzi di S. Paolo (sulla carità) ed un brano de “Il piccolo principe” che per l’artista acquistano un valore autobiografico, mentre l’abbraccio della coppia è l’atto reciproca-mente compensativo con cui superano le loro irriducibili singolarità. Il manichino, viceversa, ci sembrava esprimesse con una solidità disturbante la grettezza dell’uomo con la cistifellea ingros-sata del XXI secolo, ed infatti tiene la mano anti-accademica poggiata lì per il dolore.
Jessica Pintaldi lavora ad acquerello ottenendo le sue figure ed i suoi ritratti solo con l’effusione liquida del colore, senza traccia di disegno. Partendo da un modello fotografico, un ballerino ste-so a terra che si inarca, con pochi tratti restituisce il movimento del corpo, la distribuzione del peso, la postura concentrando di più il colore e l’intensità dello stesso, sulle zone che sprigionano tensione muscolare. L’artista, anche mentre lavora ad altri soggetti, è solita stendere dei veloci auto-ritratti cogliendo la propria espressione su un piccolo specchio rotondo, ed aggiungendovi la temperatura emotiva di quell’istante. La sua prassi vista anche la prolificità, ha anche a che vedere paradossalmente con la serialità alla Warhol, ma è più corretto parlare di variazioni poetiche sul tema che hanno consonanza con le più delicate effusioni musicali. Questo trattamento, sia pur basato sulla disciplina perchè deve sempre essere “buona la prima”, è fondato su una concezione del colore che è sia strutturale che emozionale, finalizzata alla trasparenza tecnica e all’immediatezza.
Pamela Pintus ha portato al MArteLive un quadro di grandi dimensioni in cui le sue forme predilette, quelle delle teste di pesce con l’occhio vivo, definite con tinte pastello, costellano tutto lo spazio ma poi vengono cancellate da pennellate bianche lucide, e accompagnate da un segno grafico ricorrente, una sorta di suture bianche ottenute intrecciando tra loro piccoli tratti di applicazioni di silicone bianco così come esce dal tubetto. Nel quadro che ha dipinto dal vivo, le teste di pesce, particolarmente convincenti, venivano ancora una volta invase dalle suture bianche, ma non cancellate; ottimo compromesso che le ha permesso di far incontrare i suoi due filoni espressivi: quello sintetico e concettuale, basato sul bianco e nero lucido degli smalti e su questi interventi “cicatriziali” con la cementite, e quello sulle teste di pesce, portatore di simbologie risalenti sia alla cristianità che a Bosch e ai suoi pesci volanti (indici della sovversione dell’ordine naturale delle cose), e alla nota espressione “pesce più grande mangia il più piccolo”, e via dicendo. L’artista scoprì i valori formali delle teste di pesce mentre preparava delle alici marinate e si ritrovò con una gran quantità delle loro teste, si fermò e pensò: “Sono pittoricissime!” Interessante che poi abbia deciso che lo smalto sintetico ed il silicone dovessero ricoprirle, come fa la plastica, che infatti un giorno soffocherà tutte le creature, se prima non lo farà un’ondata nera di petrolio!
Il_7 – Marco Settembre
18 maggio, Davide Ciaffi, Ilaria Aprile, Jessica Pintaldi, Luca Grimaldi, marco Settembre, martelive 2010, martemagazine, Mauro Sgarbi, Pamela Pintus, pittura, Valerio Zaccagnini