Quel film sono io, alle Orestiadi l’omaggio del teatro al cinema
![ph. Salvino Martinciglio](/wp-content/themes/yootheme/cache/05/74acd23d0a3d7c9dad9d90264c11eda6-05096073.jpeg)
Una volta Wim Wenders ha detto che “i grandi film cominciano quando usciamo dal cinema”, sono quelli che ci cambiano la vita, che porteremo per sempre con noi. Ed è questa la verità che vuole rivelarci Olivia Rosenthal nella raccolta di racconti “Ils ne sont pour rien dans mes larmes” adattata al teatro da Umberto Cantone e Alfio Scuderi nello spettacolo “Quel film sono io”, andato in scena a Gibellina per le Orestiadi 2020.
Sei personaggi che ci raccontano in altrettanti monologhi brevi quelle opere cinematografiche che sono entrate loro sottopelle fino a influenzarne le scelte, la vita quotidiana, la crescita. Lo spettacolo mette in scena un vero e proprio omaggio alla settima arte, in un efficace dialogo crossmediale, che parte dal cinema e arriva al teatro, passando per la letteratura. Questa la sequenza dei film/monologhi: “La donna che visse due volte” di Alfred Hitchcock con Silvia Ajelli, “Giù la testa” di Sergio Leone con Alessio Vassallo, “Effetto notte” di François Truffaut con Filippo Luna, “Ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci con Gaia Insenga, “Thelma e Louise” di Ridley Scott con Daniela Macaluso, “Les Parapluies de Cherbourg” di Jacques Demy con Aurora Falcone.
Da questo elenco, sembrerebbe uno spettacolo adatto più che altro a quei cinefili che abbiano conoscenze e passione tali da permettere loro di spaziare da un versante all’altro della storia del cinema senza particolari problemi. Per fortuna non è questo il caso! Certo, la conoscenza pregressa dei film in questione dà certamente un qualcosa in più nella fruizione dei monologhi, e in questo aiuta il fatto che si tratti solo di grandi classici, ma la costruzione narrativa è pensata per essere alla portata anche dello spettatore più naif. I film, infatti, sono raccontati con la linearità e la semplicità con cui li si consiglia normalmente a un amico e, in fin dei conti, queste opere cinematografiche sono solo dei pretesti per entrare nelle vite dei personaggi, per conoscerne le debolezze e le paure, e per capire come il cinema li abbia aiutati nella definizione del proprio essere.
Lo spettacolo si rivela, inoltre, molto più spigliato e agile di quanto potrebbe sembrare. I monologhi sono brevi, incalzanti e alternati con intelligenza per variare tono e argomenti. Gli attori e le attrici sono tutti in parte e reggono bene la scena, che è stata sapientemente sfruttata per adattarsi a una location riadattata alla luce delle norme anti-covid, con sei diverse postazioni sparse per tutto l’ampio cortile della Fondazione Orestiadi. Si ha la sensazione che i sei personaggi siano integrati con la scena, che compaiano perché spinti dal desiderio di rivelarci la loro storia e i motivi che legano le loro vite a un film particolare. Forte e calzante, ad esempio, è vedere Silvia Ajelli che dall’alto di una terrazza ci parla di vertigini e del suo trauma legato al suicidio della sorella. Uno spettacolo prestato a un habitat non prettamente teatrale, ma che, proprio per questo, ci appare molto più naturale e vero.
“Questo film sono io” è stato un ottimo modo per molti dei presenti per ricominciare a nutrirsi d’arte, dopo la pausa forzata per il covid, oltre che un stimolo a recuperare film bellissimi che non dovrebbero far parte solo delle vite dei personaggi in scena, ma anche delle nostre.
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