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Gola Hundun, l’arte come espressione del mondo naturale

Gola Hundun è un artista che ha deciso di incentrare tutte le sue opere sulla relazione tra il mondo umano e gli altri esseri viventi, dalle piante agli animali. Il suo non è solo un lavoro di rappresentazione, ma di studio e ricerca continui che si riflettono anche sul suo stile di vita, sempre attento a rispettare ciò che lo circonda. In questa intervista Gola Hundun ci ha guidati all’interno del suo intento artistico, raccontandoci le sue ispirazioni e i suoi progetti.

Il tuo percorso artistico inizia molto presto, per poi articolarsi in una numerosa serie di esperienze in diversi Paesi del mondo. Quale cultura ha influenzato maggiormente la tua arte e perché?

Dopo ogni esperienza e viaggio che intraprendo noto che c’è sempre un prolungamento dello stesso nella produzione seguente, che sia l’utilizzo di un colore nuovo, delle suggestioni di forma o composizione o lo sviluppo di un’idea che ho avuto vedendo certi ambienti o incontrando certe persone. L’esplorazione continua a essere una grande risorsa per l’evoluzione personale e del lavoro. Ad ogni modo i primi grandi viaggi che ho intrapreso da solo “all’ avventura” sono probabilmente quelli che mi hanno influenzato di più, l’incontro con l’India e con  il Brasile. L’uso dei colori e il carattere spirituale della prima e la vegetazione primordiale e il ritmo della seconda sono stati grandi maestri di vita. Passare una giornata a vedere la cremazione da tutto a niente di un corpo umano lungo i gath di Varanasi, le battaglie di colori durante l’Holi, le cromie dei templi che si fondono in quelle della cartellonista per le strade delle grandi città indiane, l’euforia del carnevale di Rio, la scoperta di poter interagire con le rane della mata atlantica imitando i loro canti dopo l’incontro con delle biologhe lungo un sentiero di Ilha Grande…. Sono momenti di vita indimenticabili che hanno aiutato a costruire e sviluppare il mio sentire la vita e il mondo reale, perché anche questo è per me la rappresentazione della natura, è il contatto con il mondo reale, con il mondo non mediato dalle macchine, con i bisogni e le sensazioni reali, con il non sentirsi alieno e lontano dalle proprie pulsioni e profondamente diverso da tutto ciò che è non umano. La natura ci comprende anche se noi delle popolazioni del “primo mondo” facciamo di tutto per visualizzarci non solo fuori da essa, ma addirittura sopra e guardare al mondo non umano, cioè al resto del mondo naturale, come a una vacca da mungere e spremere il più possibile per soddisfare il bisogno di far crescere il PIL. É oramai evidente che questo approccio è il motivo per il quale stiamo oggi vivendo la crisi dell’equilibrio ecologico mondiale.

In tutte le tue creazioni c’è un richiamo alla natura, nei disegni come nelle installazioni e nelle opere di street art. Cosa ti affascina di più del mondo vegetale e perché l’hai reso il tema principale delle tue opere?

Trovo che l’immaginario vegetale per sua natura formale sia percepito dalla sensibilità umana come elemento tanto astratto/alieno quanto rilassante, avvolgente e lenitivo. Stavo riflettendo in questi giorni sul fatto che anche l’arte sacra di matrice islamica lo ha eletto come elemento cardine per rappresentare l’astratto in bellissime e complesse decorazioni. Nonostante il sacro divieto di rappresentare naturalisticamente il reale e le forme di vita, le piante erano in qualche modo troppo aliene per esser considerate reali o effettivamente forme di vita. Affascinante. Oggi con gli studi sulla neurologia vegetale conosciamo un po’ meglio le capacità sovrannaturali della biologia vegetale, stiamo poco a poco svelando i misteriosi processi che regolano la vita delle piante, ma sento che a livello inconscio diffuso le piante sono ancora per noi quei benefattori alieni che regolano la nostra esistenza. Loro potrebbero vivere benissimo senza noi umani, purtroppo noi non possiamo dire lo stesso. Ho scelto le forme vegetali per poter utilizzare un alfabeto libero, morbido e interpretabile per esprimere ciò che sento per la natura e per la nostra specie. Nel mio lavoro le foglie e i rami sono come lettere aeriformi, che svelano intricati discorsi metaforici focalizzati spesso sul ruolo umano nei confronti dell’ecosistema o sul fascino che la complessità dell’ecosistema esercita su di me. Vedo la flora come un lessico amabile per poter parlare di problemi a mio avviso gravi che investono la vita tutta, oggi.

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Le tue produzioni sono anche veicolo di importanti messaggi legati al luogo o al contesto in cui sono inserite. Secondo te quale ruolo ha l’arte nello sviluppo della società? 

Ritengo che le figure dell’artista e del filosofo dovrebbero essere figure indispensabili per lo sviluppo dei problemi legati alla politica, in senso greco, di una società data e in una società ideale dovrebbero essere integrate per generare un ponte culturale di collegamento tra il dentro e il fuori del sistema istituzionale, che tenta di risponde alle problematiche della società del suo tempo come uno strumento di collegamento tra la voce del popolo e la “gestione” dello stesso, proprio come nelle società antiche. Penso che oggi si debba aggiungere alle problematiche strettamente sociali e umane un problema inedito per la storia dell uomo, che affligge indirettamente anche la società umana: il sistema di base su cui si poggia la società umana, vale a dire l’ecosistema (che comprende il disequilibrio di tutte le società non umane tra le altre cose). Sfortunatamente la vita politica ufficiale della maggiorparte dei paesi mondiali oggi non comprende questo approccio e solo alcune società dominanti contemporanee stanno oggi (ora che è già passato il punto di non ritorno) cercando di rispondere all emergenza verde. Cosi come la politica ufficiale è interessata principalmente all’espansione economica e attenta a gestire solo gli effetti dei problemi anziché le cause, ritengo che anche molta arte dei giorni nostri sia allineata in questo senso, essendo interessata maggiormente a questioni estetico/decorative e non culturali o legate agli ideali. Penso anche che oggi esistano ottimi artisti che invece ricoprono il ruolo di cui si parlava sopra. Personalmente, mi sento legato a livello ideologico all’attitudine dell Hard Core Punk, scena musicale all’interno della quale sono cresciuto in un modo o nell’altro, che mi ha insegnato che se vuoi cambiare qualcosa che senti come un ingiustizia devi esporti ed essere attivo per dare l’esempio, partendo dal basso anche con azioni piccole che al principio possono sembrare insignificanti, ma portate avanti nel tempo diventano una valanga e farlo soprattutto subito, essere attivo.

Durante il lockdown hai partecipato al progetto “Selvatico contro COVID-19”, realizzato dal Museo Varoli di Cotignola, in provincia di Ravenna. Tu e altri artisti avete donato le vostre opere al fine di raccogliere fondi per fronteggiare l’emergenza. Nel tuo caso si tratta di un acrilico su lino dal titolo “Hidden Liquid Trees”. Cosa rappresenta quest’opera e cosa ha significato per te questo progetto? 

Sì, in realtà ho partecipato anche con una serie di risografie colorate a mano legate a un progetto contro il taglio degli ulivi in Puglia del 2015, curato da Mario Nardulli di Pigment Workroom. Vi ricordate il can can sulla Xylella? Le risografie sono state la cosa che si è venduta poi alla fine, sono stato contento di aver avuto l’opportunità di fare la mia parte in questa circostanza. Quella tela fa parte di una serie chiamata 7.6 Billion and Still Growing (allora numero della popolazione umana sul pianeta) e rappresentava le perforazioni per l’estrazione del petrolio e tutto l’immaginario che ne consegue, a livello di impatto ambientale, guerre etc…. Era un momento di riflessione sul fatto che l’energia su cui basiamo la maggior parte delle nostre risorse attualmente derivi da resti vegetali, ma soprattutto animali di milioni di anni fa putrefatti e divenuti liquidi che giacciono sotto la superficie della terra, la visione di come ancora una volta l’approccio umano sia quello di prendere per sè, prendere dalle piante e dagli altri animali. L’approccio delle piante per ottenere qualcosa di solito è offrire invece, offrire zucchero nei fiori  agli insetti per farsi impollinare, offrire cibo con i frutti per assicurare la crescita della propria prole attraverso le feci degli animali che se ne ciberanno, offrire nutrimento ai funghi in cambio di un’estensione del loro apparato radicale, etc… Ammiro molto questa approccio alla vita.

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Come pensi che l’arte abbia risposto alla difficile situazione che stiamo vivendo?

In certi casi in modi utili, magari dal punto di vista culturale sollevando domande e riflessioni, in altri casi in modo passivo. Sono per la libertà in generale e la libera espressione, e non è di mio interesse giudicare i modi che si scelgono, tuttavia posso dire che non ho condiviso certi approcci creativi come portare il proprio lavoro come grafica delle mascherine. 

Sempre durante la quarantena hai realizzato un altro progetto chiamato “LAST CALL”, un video realizzato a distanza, grazie agli strumenti digitali, che invita a riflettere sulla propria condizione. Quale messaggio hai voluto trasmettere? 

“Last Call” è nato dall’invito di Carlo Roccafiorita a collaborare al progetto “I am the virus/we are not the virus” e per me è stata un’opportunità per invitare il fruitore a considerare la propria postura all’interno della società e sull’ impatto che le proprie scelte hanno sui mercati, quindi sul saccheggio delle risorse, quindi sull’equilibrio. Partendo dal presupposto che ognuno di noi, anche il più attento, ha un impatto sul mondo, possiamo scegliere quanto essere gravosi sullo stesso e addirittura possiamo scegliere di compensare il nostro prendere dando qualcosa, che può andare dal piantare una pianta ogni anno, a sovvenzionare campagne di reforestazione, a sostenere Medici Senza Frontiere o altre associazioni, a consacrare la propria vita all’attivismo, ma anche cose molto più piccole come essere empatici con gli altri esseri umani o con gli altri esseri viventi. Il video non vuol riflettere tanto su cosa ha fatto scatenare il Covid -19, il come o il perché, conosceremo “forse” queste risposte tra tempo. Last Call nasce invece dalla presa in esame del fatto che durante il lockdown e il conseguente fermo del grosso dell’attività industriale e commerciale, la natura aveva ripreso velocemente lo spazio occupato dagli umani. Immagino tutti si ricordino dei video rubacchiati dalle finestre di casa o dalla macchina di animali che si aggiravano nei centri delle grandi città, le foto satellitari delle assenze di nuvole di smog sulle grandi città, o lo skyline di nuovo visibile di Beijing. Il titolo era riferito proprio all’ultima chiamata che questa evidenza sulla natura ci proporziona, una sorta di: “insieme possiamo farcela!!”  a quell’uomo che diviene un simbolo vitruviano ibrido con la pianta. A questo punto del processo anche le grandi corporazioni dovrebbero operare questa virata se si vuole essere veramente effettivi. Nonostante  tutti gli sforzi che faccio per comprare meno plastica possibile, comprare meno possibile in generale, avere una dieta il più possibile sostenibile e senza crudeltà, e nonostante mi svegli la mattina e la prima notizia che mi arriva dai media è che sono andati a fuoco altri 12 milioni di ettari di foresta primaria, continuo a fare quello che faccio perché so che l’esempio è l’arma più forte che abbiamo e che il gesto diventa storia. Ora abbiamo bisogno di un gesto forte sincronizzato.

In questo momento stai lavorando sul progetto “Habitat”. Di cosa si tratta?

Ora sono concentrato nello sviluppo del progetto Habitat (originariamente divulgato come Abitare) un’indagine estetica, etologico/funzionale e oserei quasi filosofica attorno a quegli spazi nati e costruiti per esigenze umane e successivamente abbandonati e ricolonizzati da altri esseri viventi, piante e animali, che li utilizzano per scopi diversi da quelli per i quali le strutture erano nate, generando spesso (soprattutto nel caso delle piante) forme ibride date dall’incontro degli spigoli delle architetture con le forme organiche vegetali. A livello di produzione sto cercando di approcciarmi a questa indagine in diversi sensi, sia portando quest’idea nelle creazioni grafico pittoriche, sia a livello installativo andando a intervenire solitamente con piccoli accorgimenti effimeri in questi ruderi, sia a livello documentaristico fotografico e video. Recentemente ho sviluppato una prima serie di Eco Printing parallelamente al progetto principale che mette in relazione le forme vegetali con una serie di ecomostri di carattere abitativo o turistico. Potrete avere un assaggio di queste produzioni all’interno della mia pagina web www.golahundun.com, dove troverete una partizione dedicata ad Habitat. Mi interessa molto mettere in luce anche le attività animali che si svolgono all’interno di questi luoghi e attraverso il video voglio cercare di carpire questi momenti quotidiani. Immaginare e descrivere una visione della vita nello spazio antropico dopo la fine dell’era umana, il mondo dopo l’era quaternaria, una nuova preistoria affascinante e conturbante.

 

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arte, golahundun

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