Renée Zellweger in “Judy”: date un Oscar a quella donna!
C’è chi ancora si ostina a rinchiudere la proficua carriera di Renée Zellweger nella trilogia dedicata a Bridget Jones. Un successo clamoroso di pubblico e un personaggio simpaticissimo e iconico che però sminuisce il talento di un’attrice davvero speciale. Dopo il premio Oscar per il ruolo da non protagonista in Ritorno a Cold Mountain, ottenuto nel 2004 alla terza nomination consecutiva, sono seguiti 15 anni in cui la sua carriera sembrava essere stata consumata da progetti sbagliati e avventate operazioni chirurgiche.
Finalmente, però, arriva un’occasione di rilancio, e che occasione! In Judy la Zellweger veste i panni della diva di una Hollywood ormai scomparsa, quella Judy Garland che tutti ricordiamo con le treccine e le scarpette rosse nel colossal in multicolor della MGM Il mago di Oz. C’è poco da discutere: ci troviamo di fronte a una interpretazione da Oscar che regge l’intero film, valorizzando un progetto che senza di essa sarebbe un biopic come tanti altri. La regia del mestierante Rupert Goold, al suo secondo lungometraggio, non offre di certo un punto di vista autoriale, concentrandosi principalmente su un paio di momenti molto efficaci (il piano sequenza iniziale è da manuale) e sulla valorizzazione dei momenti musicali. Tutto è sulle spalle dell’attrice protagonista che, con il suo corpo e soprattutto la sua voce (canta tutte le canzoni!), porta in scena la sofferenza di una donna non ancora vecchia (soli 47 anni) ma ormai sul finire della propria vita, oltre che della propria carriera. Una vita interamente dedicata allo show business (la Garland iniziò a lavorare a 2 anni senza mai smettere) per un talento che è stato al tempo stesso una benedizione e una condanna. Una storia, insomma, che corre in equilibrio tra fama e solitudine, arte e sacrificio, gloria e dannazione.
Magra, emaciata, incapace di mangiare, dormire, anche solo sorridere: Judy è l’antitesi di Bridget, e forse per questo colpisce ancora di più. Renéè Zellweger restituisce tutta l’umanità di un personaggio svuotato della voglia di vivere, che vorrebbe soltanto dedicarsi al suo ruolo di madre ma che si trova schiacciata dal mondo finto in cui ha sempre vissuto, un mondo in cui l’amore è di polistirolo proprio come le torte di compleanno. Il personaggio della Judy 16enne, impegnata nella complicatissima lavorazione del musical che la consacrerà, torna in maniera ricorrente e fa da contraltare alla Judy infelice e disillusa che barcolla sbronza su un palco di Londra. Ed è su uno di questi palchi che si chiude il film, con quel celebre inno di speranza che la protagonista intona in modo straziante. Arrivati sul finale, anche gli occhi dei più duri non potranno che inumidirsi pensando a quel “posto oltre l’arcobaleno” che la povera Judy Garland non è mai riuscita a raggiungere.