Paul Vivien [LPM 2015 Interview]
Paul Vivien, 22 anni, Francia
Trovo Paul seduto da solo su un gradino, poco fuori dal cinema. L’avevo visto all’opera qualche sera prima e decido di scambiare due chiacchiere con lui per conoscerlo meglio.
«Sono il direttore di Oyé, un’etichetta francese specializzata in tutti i tipi di arte digitale: insieme ad altri cinque artisti della mia label produco installazioni interattive, visual performance, videoart e mapping monumentale e architettonico.»
Come sei arrivato a tutto questo?
«Due o tre anni fa, durante un concerto, sono rimasto folgorato da un’installazione e mi sono detto: “Ok, voglio farlo anch’io”. Ho studiato graphic design, specializzandomi in multimedia digitale a Parigi, ma non c’era un vero legame tra la digital art e quello che stavo studiando, che era orientato più verso la pubblicità e la comunicazione di marketing. Ho preferito fare pratica in un ambito molto più espressivo, esplorando l’arte digitale e cercando di imparare cosa fanno gli artisti. Alla fine me ne sono innamorato.»
Qual è l’aspetto del tuo lavoro che ti soddisfa di più?
«Con i video posso fare davvero ciò che voglio, posso disegnare e fare sketch di piante, di gatti e di città, e con il generative design dò una forma concreta alla mia immaginazione, posso utilizzare supporti hardware per creare piccole sculture con la stampa 3D e molte altre cose. Mi piacciono le infinite possibilità della digital art.»
Tra i tuoi progetti ce n’è uno molto particolare, l’invasione dei batteri digitali (Digital Bacterium Invasion). Di cosa si tratta?
«Per come stanno convivendo oggi, i nostri ambienti naturali e digitali potrebbero fondersi. I computer saranno indipendenti dalla mano umana, evolveranno e “assedieranno” il mondo, come batteri. Quella dei Batteri Digitali è una serie di installazioni audiovisive dove immagino nuove forme artificiali di vita grazie al generative design e alle tecnologie di mapping.»
Qual è la prima parola che ti viene in mente quando pensi alla visual art?
«Crazy: fare qualcosa di folle, psichedelico, onirico. Durante le mie performance creo universi, nuovi tipi di animali, batteri… Mi piace creare roba davvero folle e vedere queste impressioni realizzate nelle menti degli spettatori. Queste opere provocano chiaramente effetti visivi, qualcosa che riguarda la percezione, percezione modificata e rimessa in discussione. Attraverso la visual art riesco a comunicare un concept, e questo accade sia nei club, dove in genere il pubblico è più distratto, che durante esibizioni artistiche in sedi più raccolte.»
Un sacco di gente non immagina il lavoro e la preparazione necessari per la realizzazione di un visual, anzi un sacco di gente non conosce nemmeno la figura professionale del Vj. Pensi che la visual art debba essere ancora più popolare?
«Penso che a volte la gente dovrebbe sapere che ci sono sempre artisti dietro qualcosa. Ormai tutti conoscono gli elementi video e visual di una performance musicale, di un concerto, di un festival o di un Dj Set, ma forse solo uno nella folla sa effettivamente che c’è qualcuno che lavora sodo per far sì che ciò accada.
Oggi ci sono due aspetti della digital art, uno molto commerciale e uno molto underground, e questo non è un male, anzi. Se esistesse solo la scena underground tutti frequenterebbero la scena underground, che a quel punto diventerebbe mainstream; credo che è così che sia andata all’inizio. Invece, in questo caso, underground e mainstream si bilanciano, ed è un bene che sia così perché in questo modo si possono chiaramente distinguere le due cose.»
http://paulvivien.fr
http://oye-label.fr/
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