Paolo Petrocelli, un cittadino attivo
Di questi tempi carichi di promesse tecnologiche eppure oscuri quasi come le “ere di mezzo”, dato che non mancano neanche le profezie apocalittiche per la fine dell’anno, sorprende che ci sia qualcuno che, in barba all’ossessione per la privacy, abbia deciso di far parlare di sé, non per raccontare le proprie tragedie o per denunciare i tagli alla pensione della nonna, ma piuttosto per far conoscere la propria storia, dal profilo assolutamente positivo ed edificante, tanto da poter fungere da esempio per chi volesse credere ancora in qualcosa, compreso soprattutto il proprio talento.
Stiamo parlando di Paolo Petrocelli, un giovane come gli altri per alcuni aspetti, nato nel 1984, eppure diverso, tanto da farci sentire il desiderio, se non il bisogno, di descriverlo come un gigante che è riuscito a costruirsi come tale (è amministratore artistico, musicologo, violinista, ricercatore e docente universitario), edificando con umiltà la sua straordinaria carriera passo dopo passo con naturalezza, senza sforzo apparente. Forse, se avesse fatto il gradasso, sarebbe magari incappato presto o tardi in qualche pittoresco antagonista, e invece col suo atteggiamento pacato che lascia supporre una pratica zen, tutto pare sia proceduto liscio come l’olio. O almeno questo è quello che il Petrocelli, con la sua discrezione, ci autorizza a pensare.
Ma vediamo di andare per ordine, dato che, a quanto pare, non tutti hanno una vita caotica: rampollo presumibilmente adorato di una famiglia di amanti della musica benché non professionisti del settore, Paolo Petrocelli si è educato soprattutto, inizialmente, attraverso un ascolto profondamente sentito della musica, prevalentemente classica, presumiamo, prima di scegliere appunto l’indirizzo musicale già alle scuole medie, studiando pianoforte, flauto e violino. Si ritrovò dunque, sin dai suoi anni più verdi, faccia a faccia, per così dire, con delle sensazioni forti, per un bambino, che però ha presto condiviso con altri coetanei durante i primi concerti, con la supervisione degli insegnanti di allora. Ma poi arrivò il momento competitivo dell’esame di ammissione al Conservatorio, un corso di dieci anni a cui si accede bambini e si esce giovani adulti, con la consapevolezza che, per quanto l’esperienza sia massimamente formativa, ed anzi proprio per questo, non si è (ancora?) arrivati ad essere il più grande violinista al mondo! Segue l’esperienza con l’orchestra, in cui si impara a contemperare i due diversi imperativi, quelli di “andare con gli altri” e quello di mantenere al contempo la propria individualità. A livello umano il percorso permette di condividere esperienze di crescita, sviluppare amicizie, arricchire la propria sensibilità, che a volte fortifica, altre volte rende più fragili, verità un po’ amara di cui non tardano ad accorgersi tutti coloro che all’Arte consacrano buona parte della loro esistenza. A questo punto, nella vita di Paolo Petrocelli, si affacciò un’esigenza, quella di affiancare alla pratica intensiva e continuativa di strumentista, acquisita al Conservatorio, una maggiore consapevolezza teorica, per sapere con esattezza e profondità anche storica cosa si sta suonando. Scelse così, all’Università “La Sapienza” di Roma, Lettere con indirizzo Musica e Spettacolo, e poi, scendendo sempre più nello specifico, Musicologia e infine La musica del ‘900. Portò avanti i suoi studi accademici con la crescente convinzione che forse proprio quella sarebbe stata la sua strada, e completò il cursus studiorum “scoprendo” la figura di William Walton (1902 – 1983), compositore (e direttore d’orchestra) dalla statura paragonabile a quella di Verdi, per noi italiani, su cui Paolo Petrocelli redasse un saggio, dopo un apposito viaggio di documentazione in England dove trovò la collaborazione di importanti istituzioni che gli diedero modo di consultare documenti originali. Il testo fu dapprima pubblicato nel Regno Unito, e solo dopo tradotto in italiano, indizio, questo, del taglio internazionale che la carriera di questo giovane esperto di musica avrebbe assunto sempre più col passare del tempo. Intanto, infatti, era giusto arrivato il momento per esplorare il mondo musicale sotto una diversa angolazione, quella dell’organizzazione e del management di eventi e degli stessi artisti. Petrocelli pensò che questa nuova prospettiva gli avrebbe conferito la quadratura che andava cercando, permettendogli di ottimizzare i risultati dei percorsi già compiuti in termini di studi.
La nuova fase iniziò con uno stage, ottenuto grazie alla mediazione de “La Sapienza”, presso il Parco della Musica – Accademia di S. Cecilia. Ebbene, dopo questa esperienza lo stesso Petrocelli dichiara di non essersi più fermato; come se prima avesse perso tempo dando calci ai barattoli in cortile! In effetti Paolo continuò ad accumulare esperienze formative stimolanti quali quella in qualità di media&marketing manager con l’Orchestra Symphonica Toscanini, diretta da Lorin Maazell, ma anche la collaborazione con la direzione della produzione artistica e la biblioteca della stessa Accademia Nazionale di Santa Cecilia presso cui si era diplomato in violino. Ha collaborato all’organizzazione di numerosi festival musicali e ci-nematografici internazionali, tra cui Tuscan Sun Festival, English Music Festival, Rome Chamber Music Festival, Accademia delle Crete Senesi, Rome Film Festival, Roma Independent Film Festival. Il ricco ventaglio delle sue collaborazioni si estende anche ad alcuni dei più noti artisti italiani, tra i quali Uto Ughi, Michele Campanella, Ezio Bosso, Gianluca Littera, sempre come Tour manager e PR & Media manager. Ma la vera tendenza di Paolo Petrocelli a fare la parte dell’asso pigliatutto è emersa quando ha cominciato a rivolgere la sua attenzione ad organizzazioni istituzionali in ambito musicale, come lo European Music Counsil, che raccoglie i principali istituti nazionali sulla musica. Non vi diremo come, per non istigare inopportuni tentativi di emulazione, ma vi basti sapere che nel breve volgere di una chiacchierata (immaginiamo) i vertici di questa organizzazione intuirono che non avrebbero potuto fare a meno di quel giovane dal volto pulito e dalla irriducibile passione, e perciò lo accettarono di corsa come membro del Gruppo Giovanile del Consiglio stesso. I più maliziosi penseranno che l’appetito vien mangiando, e invece la verità è che in lui si era sem-plicemente destato l’interesse per le istituzioni culturali europee, che in fondo non sono poche. Eccolo quindi nominato Delegato giovanile per la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, al cui Congresso del 2011 a Parigi partecipò, onoratissimo di poter incontrare giovani da tutti i paesi del mondo, compresi l’Ugan-da, la Germania, il Marocco e chissà quanti altri. Ecco cosa ci racconta, a riguardo:
“Lo scorso ottobre 2011 ho rappresentato l’Italia in qualità di delegato giovanile della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO al 7°Forum Mondiale Giovani dell’UNESCO a Parigi. Al centro del dibattito è stato posto il tema “How Youth Drive Change”: come sia possibile assicurare una maggiore inclusione dei giovani nei processi decisionali, per farne una leva decisiva del cambiamento delle nostre società”.
La volontà di comprendersi, tra tutti questi giovani propositivi, in un clima collaborativo ad altissimo livello, si manifestò in modo tale, in Petrocelli, da spingerlo ad avanzare la proposta, presso l’UNESCO stessa, di formare un comitato giovanile. Il geniale suggerimento fu accolto – credo – senza neanche starci troppo a pensare ed ovviamente Paolo Petrocelli stesso, in quanto promotore dell’iniziativa, è stato nominato Coordinatore della Commissione Nazionale Italiana Giovani per l’UNESCO. Un’altra realtà a cui Petrocelli si avvicinò in quel periodo fu lo European Cultural Parliament, che riunisce intellettuali di vari paesi europei, e, non certo per grazia ricevuta, ha ottenuto la nomina di Coordinatore del Network Giovanile Italiano dello stesso Parlamento Culturale Europeo. Lo scopo di questo organismo istituzionale, che a chi non ne conosceva l’esistenza potrebbe sembrare una pia illu-sione utopistica, è quello di riunire le giovani forze italiane nell’ ambito della Cultura, della Musica e dell’Arte coinvolgendo artisti di ogni area e spingendoli a “fare squadra” organizzando eventi di respiro internazionale. A noi che l’abbiamo conosciuto personalmente, non ci sembra che Paolo sia quel tipo di persona che abbia dovuto compiere sforzi inenarrabili per riuscire a mantenere l’umiltà necessaria per dedicarsi a certi incarichi senza, come suol dirsi, montare sul cavallo di Campidoglio; ci pare piuttosto che il suo equilibrio e la sua serenità possano averlo guidato permettendogli di arrivare al punto di orchestrare non solo le sue attività ma anche pianificare l’attività musicale e culturale a livello strutturale con grande senso di responsabilità unito ad una invidiabile freschezza, malgrado l’aplomb, tenendosi in contatto con altre realtà ed esperienze. Ed infatti senza colpo ferire, come si diceva una volta, si è conquistato anche il titolo di membro del Comitato Giovanile del Consiglio Europeo per la Musica, ma anche quello di Ambasciatore per il Manifesto della Gioventù e della Musica in Europa, e, come contorno, quello di membro del Festival One Week, One Europe – Berlin 2012.
Essendosi occupato anche di colonne sonore, come musicista, ha finito, com’era naturale, ad essere nominato Vice-Presidente dell’Orchestra Italiana del Cinema, un ente dedicato alla promozione della musica per film, con sede a Piazza Euclide, fondato dal Maestro Ennio Morricone. E, a proposito del premio Oscar alla carriera, Petrocelli è anche Project Manager presso gli storici studi di registrazione Forum Music Village, fondati anch’essi, appunto, da Morricone, insieme a Luis Bacalov, Piero Piccioni ed Armando Trovaioli; degli studios presso cui, dal 1970 ad oggi, numerosissimi big della musica italiana ed interbnazionale, sono venuti a realizzare i loro lavori, come ad esempio fece Nicola Piovani per la soundtrack di “La vita è bella”. Non crediamo personalmente che sia stato per esclusivi motivi di prossimità geografica (le ultime due strutture menzionate sono entrambe ubicate in Piazza Euclide), ma è un dato di fatto che Petrocelli è divenuto Diret-tore Associato dell’agenzia artistica internazionale IMG Artists, che ha la sua sede operativa proprio all’ interno del Forum Music Village. È assai più probabile, a dir poco, che la sua competenza ad ampio raggio sia stata riconosciuta anche da quest’altro ente, presso il quale Paolo gestisce giovani solisti: pianisti, violinisti e direttori d’orchestra, come un general manager junior ma con i controfiocchi, che organizza anche concerti e altre attività musicali collaterali.
Inevitabilmente, con l’accumularsi di impegni, il violino si ritrova sempre più spesso relegato all’interno della custodia, eppure i progetti musicali in prima persona di Paolo, ovvero il suo gruppo Vinegar Socks, che noi già recensimmo nel 2008, non sono stati abbandonati, ma hanno solo sofferto di un relativo accantona-mento. Paolo rievoca con piacere e un pizzico di vaga nostalgia l’incontro, molto spontaneo, col suo sodale, cantante e chitarrista, Jordan De Maio, in vacanza post-degree in Italia; costui lo incuriosiva perché ameri-cano, poi fortuna volle che in Italia trovasse l’amore, oltre a Petrocelli, e così negli States non è più tornato o quasi. La sua fidanzata lo spronava a suonare, ma lui lo faceva a casa, mentre Paolo aveva il suo da fare a liberarsi dal pregiudizio giovanile che il violino nel rock dovesse limitarsi a fare da accompagnamento alla chitarra. Il nome, “calzini all’aceto”, fu l’attenuazione aromatica nel senso migliore del termine, del nome proposto proprio dalla ragazza, “calzini bucati”, per rendere omaggio giocosamente, in modo magari lieve-mente inopportuno, al cattivo costume del suo compagno, che forse non era così attento ai dettagli dell’ab-bigliamento o forse si sentiva più ispirato sentendosi un po’ bohemienne… nell’intimo! Il risultato però, fece piazza pulita delle loro incertezze: scelta a caso la parola vinegar sul vocabolario, dopo 2-3 mesi uscì un CD, poi presentato in una miriade di piccoli club ma poi anche al Circolo degli Artisti, a Radio RAI e su MTV. Tornando all’esperienza con la musica da film di cui abbiamo sopra accennato, i Vinegar Socks furono chia-mati a partecipare, accanto ad un “nome” come Vinicio Capossela, alla colonna sonora di “Dieci Inverni”, esordio del regista Valerio Mieli, presentato al Festival di Venezia del 2009 e vincitore del David di Donatello 2010 per il miglior esordio e del Nastro d’argento come miglior opera prima. Dunque il potenziale dei Vinegar Socks era interessante, anche perché sfuggente rispetto al cliché di rock band – il percorso, viste le sen-sibilità musicali in gioco, era condizionato – però altri impegni e i cosiddetti “fatti della vita” costrinsero il gruppo (composto anche da un contrabbassista/mandolinista e da un percussionista), ed in ultima analisi, i due componenti fondatori, a limitarsi.
Riprendendo il vertiginoso excursus nel curriculum di Petrocelli, non possiamo non citare il suo approdo all’insegnamento: è visiting professor al Lasalle College of the Arts di Singapore e professore ordinario alla Luiss, mentre alla Yale University ha tenuto seminari su William Walton, è visiting fellow e vincitore di un premio di ricerca, e presso quella di di New York ha tenuto una presentazione dell’Orchestra Italiana del Cinema ed ha ottenuto un premio retrospettivo per le ricerche già effettuate, grazie al quale può fregiarsi anche del titolo di ricercatore in musicologia, come lo è presso la Università di Oxford, di Cambridge, e il mitico Royal College of Music di Londra, da cui uscirono tanti musicisti del miglior rock britannico tra anni ’60 e ’70. D’altra parte, Paolo Petrocelli è anche legatissimo alla realtà d’Oltre Manica, è infatti anche fondatore e direttore artistico della stagione di concerti “The Spirit of the British Music”, rassegna dedicata alla promozione della musica britannica moderna e contemporanea a Roma, patrocinata da un intero lotto di istituzioni musicali del Regno Unito. I titoli sono tanti ma probabilmente l’ultimo di livello internazionale è quello che raccoglie e certifica il valore di tutta questa messe (e questa massa) di competenze e qualità, quello in definitiva di Esperto della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO in ambito di cultura musicale, ottenuto a soli 27 anni!
Coerente con il suo spirito orientato ad una generosa condivisione delle conoscenze, alla domanda su quale fosse l’attività più appagante, tra tutte quelle sperimentate, Petrocelli ha risposto: “Forse l’insegnamento, perché permette davvero di lasciare un segnale positivo alle nuove leve, di far loro ascoltare una testimonianza diversa, che non sia portatrice di critiche e lamentazioni sul flagello delle “porte chiuse”, ma che esorti a credere alla possibilità di essere, noi tutti, dei door-makers, gente positiva che crede nella non im-possibilità di aprirsi delle porte da soli”. Quando gli ho fatto presente che tuttavia la crisi è un dato oggettivo dalle conseguenze palpabili e che a volte il talento e l’iniziativa personale sembra non bastare, dato che infatti molte nuove aziende non resistono oltre il quinto anno, Paolo si è fatto serio e mi ha confermato che “In effetti il mercato è una realtà assai complessa, non esistono formule facili; c’è crisi nel mondo del lavoro, e anche del lavoro artistico. Io credo che in tutta questa confusione tornerà ad avere pieno valore la qualità ar-tistica, quella che brilla di luce propria. Probabilmente il “prodotto artistico” sarà veicolato in maniera completamente diversa rispetto a quella a cui siamo abituati. Stiamo vivendo anni di transizione. Troveremo presto una nostra nuova identità culturale in cui identificarci”.
A proposito – abbiamo chiesto – cosa pensi dei talent show? Il modello di selezione competitivo di cui si fanno portatori certi programmi TV trovi che sia formativo?
La risposta di Paolo Petrocelli è stata inequivocabile, pur nella sua pacatezza: “Mi preoccupa il meccanismo che governa i talent show. Le alleanze fra i programmi TV e le grandi agenzie di management e le case discografiche. Sapere che il vincitore di un talent show s’imporrà sul mercato non solo come “artista”, ma anche e soprattutto come “prodotto” momentaneo con cui generare business. Non c’è niente di male in tutto questo. E’ solo triste vedere come tanti giovani, così appassionati, vengano sfruttati e molte volte rovinati dalla macchina dello spettacolo”.
Altra domanda, utile per far capire ai giovani dove devono “buttarsi”: c’è più bisogno di nuove leve per l’attività concertistica classica, più di proposte sofisticate nell’area della musica “leggera”, o più di studiosi, teorici e divulgatori?
Paolo Petrocelli non intende scoraggiare nessuno che abbia una vera vocazione: “Quello di cui c’è più bisogno è trovare coraggio e nuova consapevolezza per fare cultura a 360°. I giovani devono farsi largo con determinazione e preparazione all’interno delle organizzazioni culturali del nostro Paese per rinnovarle e rigenerarle dal loro interno. C’è bisogno di entusiasmo, capacità, sana ambizione. C’è bisogno di nuova speranza.
In conclusione, va tenuto presente, sostiene Petrocelli, che la crisi è accompagnata da un gran movimento di trasformazione, e dobbiamo se non altro porci in condizione psicologica di cogliere i lati positivi, non a-spettando solo inputs dall’esterno ma trovare il modo di “fare le cose” aggirando gli ostacoli”. Gli auditorium, i teatri, infatti, chiudono o licenziano, ma noi abbiamo l’imperativo personale e morale, di “crearci un’alter-nativa, senza abbandonare il nostro paese, coi sono ancora margini di manovra in Italia!”
Sperando di pescare anche noi qualche asso!
il7 – Marco Settembre
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