Dalla Lion un’estate con Dave McKean
[STREAP- TEASE: FUMETTI MESSI A NUDO]
Arkham Asylum e Black Orchid sono molto probabilmente le due opere peggiori di Dave McKean. Lo stesso autore l’ha ammesso in più di una intervista, il che lascia parecchio interdetti. Perché se questi sono i suoi lavori peggiori, che a più di vent’anni continuano a godere di ristampe stravendute, chi si è perso i migliori farebbe bene a lasciare un bel po’ di spazio libero in libreria.
McKean si sa, è un artista nel senso più classico del termine, oltre che illustratore di fumetti. Trascende completamente il medium puntando sul mondo dell’arte visiva in generale, al pari di grandi come Moebius, José Muñoz o Yoshitaka Amano. E non solo, le sue sperimentazioni sono infinite: padrone del mixed media, pioniere della digital art, jazzista, regista, fotografo e scultore. Naturale che per uno come lui riguardare a un passato di supereroi sia un po’ come ricordare una pessima figura fatta con la ragazza che ci piaceva ai tempi del liceo. “The biggest problem was the fact that it was a Batman comic”, disse una volta di Arkham Asylum, durante un’intervista nel ‘95. Perché a lui i fessi in calzamaglia non piacciono proprio: se ti ammazzano i genitori e di colpo senti il bisogno di vestirti da pipistrello è evidente che qualcosa non va.
Ma pur ammettendo che queste due opere siano i peggiori lavori di McKean, emergono ugualmente due altre considerazioni importanti: McKean è il peggior critico di sé stesso e quelle due graphic novel restano comunque dei capolavori di rara bellezza.
Non dimentichiamo che al suo fianco c’erano degli sceneggiatori d’eccezione, come Neil Gaiman e Grant Morrison, entrambi nel pieno delle loro forze, da qualche anno sbarcati negli States dopo che la Dc accolse tutti gli esuli della rivista britannica 2000 A.D.
Le due graphic novel sono state appena ristampate dalla Lion Comics, in formato cartonato e completamente riadattate, per un acquisto straconsigliato e per accompagnare un’estate mai abbastanza torrida. In entrambi i lavori viene mostrato il famoso manicomio di Gotham City, ma secondo due immaginari narrativi differenti: dalle atmosfere dark e disperate di Gaiman (in Black Orchid) a quelle distopiche e surrealiste di Morrison.
La storia dell’Orchidea Nera è molto vicina a quella dello Swamp Thing di Alan Moore: la rivisitazione di una supereroina minore della Dc, l’abbandono dei temi classici in favore di una sorta di fiaba “vegetale”, la reintegrazione della griglia di vignette alla Watchmen, utilizzata tuttavia con uno stile molto più maturo e destabilizzante. Quella di Black Orchid è soprattutto una vicenda cromatica, fatta di acrilici e di ipersaturazione dei colori, in netto contrasto con tavole grigie di ambientazione urbana. Come fece Moore con Alec Holland, Gaiman fa ammazzare la sua eroina sin dalla seconda tavola, dando così il via a degli eventi che ne spiegheranno definitivamente la sua natura proteiforme. A questo aggiungiamo carrettate di stream of consciousness, una sfida a Lex Luthor, un’alleanza con Batman, la succitata gita ad Arkham e una trama on the road sui valori del matrimonio, della maternità, della natura e della musica swing. Il tutto nel più classico e riuscito stile gaimaniano.
Quella di Arkham Asylum: A Serious House On A Serious Earth è invece una trama all’apparenza molto più semplice, con Batman che deve affrontare una crisi con ostaggi nella casa di cura più famosa dei fumetti. Ma è difficile calarsi nelle fauci della follia, e persino per il lettore non sarà semplice affrontare questa lettura, a metà tra Alice Nel Paese delle Meraviglie, Alesteir Crowley, Jung, esoterismi e simbolismi in generale, ironia e tanto tanto amore per il Joker. Il tutto illustrato con uno splendido mixed media fatto di collage, acrilici, fotografie e follia degne del miglior Bill Sienkiewicz.
Due grandi classici della letteratura a fumetti, due splendidi punti di partenza per scoprire un mondo a fumetti più maturo, due mattoni fondamentali nella bibliografia di alcuni tra i più grandi autori di comics inglesi. E soprattutto uno dei più fulgidi esempi di come l’illustratore del Berkshire più famoso della photoshop art riuscisse a compiere dei veri e propri miracoli visivi con una semplice tavolozza, un paio di fotocopie e qualche centrino da tavola.
Giampiero Amodeo
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