Lezioni di condotta in una realtà differente
[TEATRO]
ROMA- Un lavoro teatrale eccezionale, calibrato e studiato fin nei minimi dettagli, è questo Jacob Von Gunten, andato in scena al Teatro India fino al 17 giugno, grazie ad un progetto di LACASADARGILLA con A.Astorri, A.Bosca, A.Ferroni, E.Masala e M.Piseddu, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli.
Il testo è tratto dal romanzo di Robert Walser, che, sotto forma di diario, racconta la vita nell’istituto Benjamenta, una scuola per servitori alla quale il nostro protagonista, Jacob, si iscrive ignaro del fatto che il suo danaro verrà sprecato, o meglio, verrà destinato ad altro, sicuramente non alla sua istruzione visto che pare che gli insegnanti non ci siano, o che siano morti.
Gli studenti di questo istituto passano le giornate a pulire a fondo ogni angolo della struttura, ad imparare a memoria manuali di educazione ed ad ascoltare l’unica lezione che lì dentro abbia mai avuto un senso, pagina 8 del libro di testo: “la buona condotta nel giardino dell’istituto”.
Il protagonista, interpretato da un Andrea Bosca eccezionalmente attento a mantenere un equilibrio sia fisico che emotivo tra la sottomissione e l’indole di ribellione, narra di un mondo, quello chiuso dentro a queste mura, non parla di vicende, situazioni o eventi, racconta lo scorrere di un tempo altro e di uno spazio che è percepibile così solo nell’istituto, regolare e particolare.
I sensi sono talmente alterati e i compiti così attentamente assegnati che forse l’unico filo conduttore del testo pare essere la paura di uscire, di spiccare il volo verso un fuori che incuriosisce.
Metafora di oggi? Meglio qualcosa di negativo in cui so come stare o qualcosa di nuovo che so di non poter
affrontare?
Questa domanda è fondamentale per i quattro personaggi che vivono questo mondo altro, il signor Benjamenta, padrone defilato, Lisa, la sorella, unica insegnante presentata con un ottimo connubio tra la docilità di una donna, l’eleganza e la curiosità, e Kraus, compagno di sventura di Jacob, un ottimo prodotto dell’istituto.
La scena è piena di oggetti quotidiani, gli arredi di un collegio, sparsi nello spazio e spostati dai quattro interpreti che li utilizzano per rendere ancor più particolare il “non senso” del lavoro. Oggetti azzardati ma con semplicità, essi infatti sono studiati, senza pretesa di utilizzo laddove non serve, nei minimi particolari, e si amalgamano alle sequenze gestuali molto usate dagli attori per raccontarsi senza parole.
I movimenti infatti sono forse preferiti al linguaggio parlato, non eccessivamente presente, e vengono usati spesso.
Giovanna Rovedo
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