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Dola J Chaplin_ To The Tremendous Road

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dola1Ci sono dischi che nascono nell’intimità di una stanza, mentre qualcuno giocherella con una chitarra, altri che nascono per strada mentre si osserva il mondo, in entrambi i casi se le note vengono dal cuore sono un viaggio nell’anima di chi l’ha scritto. Sicuramente To The Tremendous Road rientra in quest’ultimo caso.

Dola J Chaplin fin dal nome che ha scelto per la sua carriera artistica vuole far capire che la parola non è l’unico mezzo espressivo, ancora di più se si parla di canzoni.
Lui ha la sua chitarra e tanto gli basta. E ce lo fa sentire nel suo folk intriso di blues che ricorda a tratti Johnny Cash, a tratti il Bob Dylan degli inizi.
Pur essendo molto giovane, appena 30 anni, Dola ha già alle spalle un vissuto da chitarrista e bassista punk e un viaggio tra Stati Uniti e Inghilterra durante il quale si è procurato da vivere, tra le altre cose, come artista di strada.
Non stupiscono, quindi, le forti influenze, statunitensi come inglesi, che fluttuano in questo disco assumendo nuove forme.
Se paragonare la traccia di apertura, “Go Wild” a “Talkin’ New York”, tratta dal primo omonimo disco di Bob Dylan del 1962, può risultare eccessivo, di certo le corde che tocca non sono meno profonde.
Anche “Railways”, che strizza di più l’occhiolino al country e al rock, mantiene inalterata la sua anima folk.
Più malinconiche e riflessive “Frost” e “Sails”, in cui i testi di Dola J raggiungono l’apice della poesia e dell’espressività che lo contraddistingue.
Nella title track, “To The Tremendous Road”, la voce di Dola viene accompagnata da Emma Tricca, cantante blues e folk di nata in Italia ma trapiantata ben presto oltremanica. Emma ha una voce molto dolce e delicata nonché sensuale che accompagna quella più doppia di Dola su un pezzo che riassume l’intera anima del disco di un pellegrino bohemien.
Se la prima versione di “What I Care” contenuta nel disco come terza traccia, fa pensare a un singolo folk ben confezionato, si coglie appieno il valore di questo pezzo solo ascoltando l’ultima traccia del’album: “What I Care (reprise)”, versione chitarra e voce che riproduce la forma della canzone così come era appena partorita dalla mente di Dola.
Un disco valido che ci dimostra che anche un italiano può fare folk cantando in inglese perché la musica non ha nazionalità, né tantomeno ha bisogno delle parole per essere compresa e apprezzata esattamente come un film muto utilizza forme diverse di comunicazione. E al termine si è autorizzati a pensare che il folk, anche in Italia, non solo non è morto, ma non è neanche in prognosi riservata.

TRACKLIST:
01. Go Wild
02. You’re on my mind
03. What I Care
04. Railway
05. Dyin’ every day
06. Flowers
07. Frost ’neath the nails
08. To the tremendous road
09. Sails
10. Nothing To Say
11. Driving South
12. What I Care (reprise)

Giuditta Danzi

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