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L’arte chicana impera all’International Tattoo Expo Roma

Omino Shiba-ok
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]

Omino Shiba-okPiù di duecento i tatuatori nella tre giorni (dal 4 al 6 maggio) dell’International Tattoo Expo la convention romana ospitata dall’Hotel Ergife. Vi immaginate oltre duecento rotative ronzare all’unisono mentre sul palcoscenico si alternano spettacoli di burlesque e musica metal?

Di certo non è stata una manifestazione che potrei definire rilassante, è in occasioni come queste però che si può imparare a prestare attenzione a molti dettagli ritenuti poco importanti. Fatevelo dire da chi ha approfittato dell’evento per cancellare un vecchio tatuaggio: disegnare sul corpo in modo indelebile richiede una precisione e una tecnica, oltre che una responsabilità, che non ti aspetti da questi strani figuri con braccia e colli tatuati che si intravedono dalle mascherine e dai camici ospedalieri. Dopo oltre quindici anni ho detto addio alla grottesca forma che era esplosa sulla mia spalla, frutto di una mano poco esperta o poco avveduta. E grazie all’elettrodermografo, strumento inventato dal tatuatore pisano Michele Berretta, posso immaginare la mia spalla sinistra riscoprire una nuova immagine, ci pensavo mentre sopportavo, più del dolore, la puzza di pelle bruciata.
Scegliere tra duecento tatuatori provenienti da tutt’Italia non è un’impresa facile, e poi le tecniche molteplici che alternano l’antico al moderno hanno tutte esponenti di grande livello. L’old school, con i colori piatti e le pin-up formose, è lo stile classico per eccellenza che adesso impera sul panorama internazionale; il tribale, innovativo nella tecnica nuova di Marco Galdo che con il suo originalissimo “puntinato” si è aggiudicato il primo posto nella sezione Tribal. E ancora il colore vivo e divertente dell’originalissimo new style in cui l’illustrazione si mescola al fumetto, ma ho ceduto, come la giuria dell’International Tattoo Expo, al fascino del bianco e nero dello stile chicano, che quest’anno si è decisamente imposto su tutti nelle premiazioni dei diversi contest.

Portavoce e rappresentate di questo stile, oltre che grande talento artistico, è Antonio Todisco, in arte Macko, il Macko4tatuatore pugliese ha vinto nella sezione Best In The Show, categoria che vede partecipare i migliori tatuaggi realizzati nei tre giorni della convention, con una bella donna dai capelli morbidi. Macko ha primeggiato sugli altri per la sua passione per il disegno, vedere un suo lavoro sul corpo è come vedere un disegno a matita, il tratto è curato e semplice al contempo. Lo stile chicano per il tatuatore di Monopoli è stato un modo per riportare l’attenzione qui in Italia all’arte classica, in un ambito che diventa sempre più popolare e raffinato nell’espressione.
Ovviamente si tratta di uno stile che nasce negli Stati Uniti. Il termine chicano indica l’etnia statunitense di origine messicana, parola usata per denigrare una categoria e che dagli anni ’70 in poi è diventata identificativa di un gruppo sociale ed etnico, che ha riscoperto le sue origini e costruito una forma d’arte con fondamenti mescolati di cultura bassa e cultura alta. Nell’arte chicana c’è la ripresa di un territorio fisico e mentale che parte dall’esplosione dei murales colorati che sembra contrastare con i tatuaggi rigorosamente in bianco e nero caratteristici del genere. Donne dai lineamenti morbidi, con labbra carnose e ben delineate che impugnano pistole, seguono negli sketch book icone religiose cristiane e divinità mesoamericane. Una forma espressiva che non nasce nelle accademie, ma per strada e che adesso viene rivalutata nel mondo del tatuaggio e in quello artistico più in generale.
I lavori dei collettivi degli anni ’70 e ‘80, come l’ASCO che fece storcere il naso alla critica e adesso viene ospitato presso LACE e al LACMA di Los Angeles.

L’arte chicana, che si esprime anche nel tatuaggio, nasce nelle zone limitrofe dell’espressione culturale, nei barrios, i quartieri californiani in cui si ritrovava maggiormente la componente etnica messicana e nelle carceri, perché non serve aver fatto studi antropologici per sapere che la segregazione culturale e la discriminazione porta a delle forme di adeguamento sociale anche violento. Mentre i muri si coloravano ispirandosi agli artisti messicani degli anni’30, il bianco e il nero dei tatuaggi, nascendo in spazi con dei limiti logistici e dovendo rappresentare al meglio un’identità chiara e precisa, si caratterizzavano per i volti dei familiari o i simboli di una fede consolatoria che diventa orgoglio e identità come nei lavori di Abey Alvarez, primo nella categoria Best Portraits, in cui Macko si è classificato secondo con un meraviglioso Mosè michelagiolesco. Macko è diplomato all’Accademia di Belle Arti e, con i suoi pantaloni larghissimi e la sua espressione da duro, dai suoi disegni traspare dichiaratamente la volontà di rappresentare un’arte italiana antica, spesso ricordata solo dagli stranieri. Fantastiche le braccia dedicate al Bernini con il Ratto di Proserpina e l’Estasi di santa Teresa.
Tra pistole e scritte gotiche Macko, che ha imparato dai maestri losangelini che ora lo accompagnano nella premiazione della tredicesima edizione della tattoo convention romana, ha imposto un suo canone stilistico fatto di matite che sembrano scorrere sulla pelle, di grigi che sfumano le figure rinascimentali e che lasciano impressionati anche i non amanti del genere per la capacità tecnica ed espressiva sia su carta che su pelle, supporti assolutamente diversi e che comportano capacità e talenti differenti.
Quindi mentre penso al soggetto che dovrà coprire la mia macchia informe, sorrido d’ammirazione guardando i lavori di Antonio Todisco, ma devo ricordare quello che dicono i chicani: Smile now, cry later. E sì, tatuarsi non è poi così indolore.

www.mackotattoo.com

Shiba

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