Romanzo di una strage, regia di M. T. Giordana
Romanzo di una strage non era uscito neanche da due giorni, che era già stato subissato da un numero considerevole di recensioni, sopra la media, e di critiche. L’attenzione a questa pellicola è stata così vasta per via dell’argomento che il regista, Marco Tullio Giordana, ha voluto affrontare: 12 dicembre 1969, strage di piazza Fontana a Milano; e conseguenti indagini che hanno portato alla tragica morte dell’anarchico Pinelli e del commissario di polizia Luigi Calabresi.
È chiaro che un tema così delicato nella storia del nostro paese, la cosiddetta “perdita dell’innocenza”, abbia richiamato un grande numero di analisi, anche da parte di chi non si occupa abitualmente di cinema, ma è invece solito scrivere di storia e politica. Noi arriviamo buoni ultimi, passate tre settimane dall’uscita del film nelle sale, ma cercheremo di separare per quanto sia possibile la recensione cinematografica dall’analisi storica.
Per quanto sia possibile, come detto, perché comunque un film che vuole raccontare un fatto accaduto realmente va giudicato anche in base a come questa ricostruzione viene compiuta. A meno che non si tratti di un film che si ispira a un fatto storico, ma prende poi una deriva romanzata, fantastica, come può accadere nello splendido Buongiorno, notte di Marco Bellocchio.
A nostro avviso, Giordana fa un grande lavoro, cercando di raccontare nel modo più esaustivo possibile la vicenda, tra le varie ipotesi uscite fuori negli anni e le diverse piste investigative seguite dagli inquirenti, aiutanto probabilmente chi di questa storia non conosceva molto (colpevolmente) come può essere magari per il pubblico più giovane. Eppure l’opera lascia un senso di incompiuto in chi la vede, incompiuta in fin dei conti come l’indagine riguardante sia la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, sia la morte di Pinelli e infine anche l’omicidio di Calabresi, sul quale si dibatte ancora sulla validità del processo che ha visto condannati Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino.
In aiuto del regista va detto che l’argomento scelto è assai complesso, al punto che oggi dopo quaranta anni non si sa ancora come siano andate le cose, e non lo sapremo mai, per cui è difficile fare un film, presentare una storia con una trama che per forza di cose è la semplice visione del regista sui fatti, perchè per quante fonti si siano potute studiare, nessuna ha potuto purtroppo offrire la verità assoluta. Giordana, poi, si prendere la responsabilità di affermare degli elementi che processi e sentenze non hanno mai chiarito: ad esempio il regista ci fa vedere chiaramente che Calabresi non è nella stanza, nel momento in cui Pinelli “cade” dalla finestra. Questo è accaduto, a nostro giudizio, per il taglio che si è deciso di dare al film, che non condividiamo: due uomini senza difetti, Pinelli e Calabresi (interpretati da Favino e Mastandrea), quasi “angelicati”, che lottano per il bene del paese contro tutto e tutti, istituzioni, servizi segreti, servizi deviati, ecc. Una visione, onestamente, un po’ semplicistica della questione. Altro elemento poco apprezzato è la scelta del cast: tutti bravissimi attori, anche troppo. Che senso ha chiamare grandi attori (Lo Cascio, Tirabassi, tanto per dirne due) per ruoli di poche battute di personaggi minori? Una figura carismatica, famosa, per un personaggio piccolo, buio, a nostro parere stona sempre, non a caso gli attori si dividono in protagonisti e caratteristi; quando a quest’ultimi si sostituiscono i primi, si ottiene un sensazione di un lavoro scomposto. Ma possiamo capire che alla maggior parte del pubblico, questa sia una scelta che piace.
In conclusione non un brutto lavoro, ma da prendere assolutamente con le pinze per quel che riguarda la verità storica; un po’ ci sfugge sempre il perché di questi film (ben lontani dai film inchiesta di Francesco Rosi), ma poi ci rendiamo conto che in un paese come il nostro, privo di memoria storica e che dimentica tutto in fretta, sono invece fondamentali per far conoscere alle nuove generazioni una storia, quella italiana del dopoguerra, che non viene mai studiata, ricordata e spiegata, ma nella quale invece c’è molto di quello che siamo oggi.
Alan Di Forte
Alan Di Forte, cinema, Marco Tullio Giordana, martelive, martemagazine, Recensioni, Romanzo di una strage