La sublime bellezza: Brad Mehldau Trio
ROMA- È un lunedì di metà Marzo, il 12, la primavera incomincia a far sentire il suo calore nella Capitale. All’Auditorium Parco della Musica invece il calore è portato da un folto pubblico che riempie la Sala Sinopoli per il ritorno di uno dei protagonisti della Rassegna Carta Bianca di quest’anno.
Dopo la sua performance in piano solo, questa è la volta di una delle più classiche formazioni del jazz, il Trio. Chiamarlo degno erede di Bill Evans e Keith Jarret è diventato ormai riduttivo e anche alquanto scontato. Il pianista in questione si accomuna ai due grandi nomi citati, perché il suo lirismo e la sua poeticità partono dalla pancia e arrivano alle sue mani in modo autentico e profondo. Perché fa sognare e incanta, perché è americano, introverso e appassionato. Brad Mehldau a soli 41 anni può essere considerato a pieno titolo uno dei più importanti pianisti jazz contemporanei. Ammirato ed esaltato dalla critica e dai suoi colleghi, è riuscito nel tempo a conquistarsi anche un pubblico più ampio grazie alle sue famose reinterpretazioni dei Beatles, dei Radiohead, di Nick Drake, oltre che dei classici di Cole Porter e di Gershwin. Ma la sua capacità compositiva è tanto sublime e geniale quanto quella interpretativa. Il suo ultimo doppio album, Highway rider, è uno di quegli album che ti cattura le orecchie e i sensi dalla prima nota e ti trascina in un turbinio di sensazioni uniche fino alla fine. E così spaziando tra standard, cover e pezzi originali, il pianista statunitense ha saputo negli anni far parlare di sé e conquistarsi una fetta importante del panorama musicale mondiale.
All’Auditorium si presenta con la sua formazione classica e rodata, con due compagni eccezionali, che non hanno nulla da invidiare al leader del gruppo, Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria (basti pensare che quest’ultimo ha suonato a soli 25 anni anche con the genius Ray Charles). Tutti e tre orbitano nella scena jazz newyorkese districandosi tra Pat Metheny, Joshua Redman, Mark Turner. Il trio delle meraviglie nella sua veste migliore ha incantato per due ore il pubblico romano, con i suoi dialoghi perfetti e la sua sintonia e con i suoi soli strepitosi. Il contrabbasso di Grenadier con la sua voce autentica, sembrava che cantasse, le sue corde vibravano con una intensità più unica che rara. Il suo compagno ritmico, dal canto suo, percuoteva le pelli della batteria come fossero percussioni, modulando l’intensità impeccabilmente. A completare la poesia il leader della serata, che scivolava sui tasti con facilità, con estrema naturalezza, riuscendo a differenziare anche ritmicamente le due mani, sorprendendoci di continuo con le sue variazioni e la sua libertà. Ma soprattutto inserendo tra la sua maestria e la sua tecnica, un complesso mondo emozionale, che caricava di sentimento ogni singola nota.
Un intenso atto di grande musica è andato in scena all’Auditorium, un concerto di rara e sublime bellezza, difficile da dimenticare. Ma da Brad Mehldau e i suoi validissimi compagni non potevamo che aspettarci questo.
Valeria Loprieno
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