Unreal Atmosphere
[MUSICA]
ROMA- Perché avere un cantante quando si possono miscelare tastiere, chitarre e sintetizzatori? Perché limitare il significato della musica attraverso un testo quando – al contrario – si può, attraverso gli strumenti, far sì che ciascun ascoltatore possa dargliene uno proprio?
Sono queste le domande che assalgono il pubblico dei Captain Quentin, il 5 Gennaio al Circolo degli Artisti di Roma. Primi in scaletta, hanno aperto l’evento con la sorpresa di un piccolo elicottero radiocomandato può suscitare librandosi leggero fra le luci che cominciavano a fondersi col suono del synth.
Beat come di un cuore pulsante e un riff di chitarra incisivo hanno accompagnato il pubblico nel singolare universo del gruppo calabrese, dove frequenti interruzioni e repentini cambi di ritmo la fanno da padroni, dove la chitarra non si esime dal sostituire una voce che – a conti fatti – sarebbe semplicemente superflua.
Non solo, no. Proprio questa (ulteriore) peculiarità fa sì che l’ascoltatore sia costretto a concentrasri sugli strumenti e sulle figure ch’essi evocano, dapprima soli, poi insieme. Ebbene, non si può esitare nell’immaginare le chitarre di Alessi e Andreacchio descrivere le azioni di un protagonista d’un videogioco, inserite alla perfezione sulla ritmica di Carere (batteria) e Rodofili (basso), incorniciata dal synth di Colarco.
L’ultimo pezzo della loro serata, “Ti sei mai chiesto che funzione hai?”, omaggio al Battiato degli anni ’70, che loro stessi hanno definito quello bravo, è un andirivieni di scale ritmiche e di spirali sonore prodotte dal sintetizzatore. Una sorta di riassunto di tutto ciò che i Captain Quentin sono.
Spulciando le pagine che i Bal Musette Motel hanno sul web non può che saltare all’occhio la definizione di TRIFT, il genere che dicono di suonare. Una miscela di Pop, Folk-rock e musica da film. Leggendo qualche riga prima di ascoltarli, non era ancora ben chiaro alla mia mente quello che mi sarei trovato davanti: uno spettacolo, sin dalla preparazione degli strumenti sul palco. Quelle tenui lucine usate per decorare microfono e batteria, infatti, sembrano fatati boccioli luminosi, forse lì proprio per portare il pubblico nel magico mondo del gruppo.
Con l’inizio del concerto, sullo sfondo prende il via la proiezione d’una pietra miliare del cinema italiano, C’eravamo tanto amati, e allora tutto diventa chiaro, i pianeti cominciano ad allinearsi, e quella definizione di TRIFT inizia a prendere significato. Testi dal retrogusto agrodolce sono quelli che accompagnano la deliziosa armonia degli strumenti dei Musette, capitanati dalla voce e dalla chitarra acustica di Tommaso Di Giulio, frontman e songwriter della banda.
Come se tutto questo non bastasse, poi, accompagnando “Bear in Underwear”, con loro sul palco, una ragazza in tutina e maschera da orso ha saltellato e ballato intorno ai componenti del gruppo, che imperterrito continuava a trascinare il pubblico anche attraverso le parole della loro coinvolgente canzone: «ballate, che vi piaccia o no».
In coda, in quel bis così fortemente voluto e chiamato dal pubblico, un tributo a Lady G, tanto per, come ha ironizzato lo stesso Di Giulio, cantare ogni tanto qualcosa di impegnato.
Dopo aver ascoltato i Bal Musette Motel è normale, alla fine della serata, non distinguere più «la terra dall’orizzonte», come dicono loro.
Luca Barbon
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