Dee Dee omaggia Billie
ROMA- Lady Day il suo soprannome, Billie Holiday il suo nome d’arte, Eleanor Fagan Gough il suo vero nome, a mio avviso la più grande cantante jazz di tutti i tempi. La sua voce emoziona come la sua storia, dentro c’è sofferenza, passione, solitudine, degrado fisico e morale, nostalgia e soprusi.
Le sue interpretazioni struggono l’anima e toccano il cuore con veemenza. Il suo modo di cantare è sublime e non educato, è reale, ed è diventato unico ed inimitabile. Le sue modulazioni, i suoi vibrati sono la cosa più bella che possa essere mai stata incisa. Cantava con dolore, con la pancia, con il cuore, cantava per necessità e componeva con audacia.
Reinterpretare l’angelo di Harlem è la cosa più difficile che si possa immaginare. Il suo personaggio e la sua musica sono così forti nei cuori e nelle orecchie degli amanti del genere, che assistere ad un suo tributo rende quantomeno dubbiosi. E dall’altra parte proporre un tributo a cotanta donna è da ritenersi un atto, senza ombra di dubbio, molto coraggioso. Non è sicuramente alla portata di tutte le cantanti, e non è un caso se sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma lo scorso 17 Novembre ci fosse forse la più degna erede delle grandi voci femminili del jazz.
Nell’ambito del Roma Jazz Festival, Dee Dee Bridgewater con il suo quartetto ha presentato il suo progetto To Billie with love: a celebration of Lady Day.
La cantante statunitense , classe 1950, ha collaborato con quegli stessi musicisti che gravitavano nel giro jazzistico americano nel periodo di Billie Holiday. Musicisti del calibro di Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Max Roach e Sonny Rollins. Nel 2010 è uscito per la Emarcy il suo album dedicato a Lady Day : Eleanora Fagan (1915-1959): To Billie with love from Dee Dee Bridgewater e da allora porta la sua potente voce in giro per il mondo per omaggiarla insieme al suo ensemble formato dall’arrangiatore del progetto, nonché pianista Edsel Gomez, dal sassofonista e flautista Craig Handy, dal contrabbassista Kenny Davis e dal batterista Kenny Phelps.
La Bridgewater introdotta sul palco della Sinopoli in classico stile americano, con una voce fuori scena, si è presentata al pubblico italiano con la sua imponente e sorridente figura, in un vestitino grigio platino scintillante. La sua forza e la sua energia è stata palpabile fin da subito. Come la sua umiltà e la gioia di essere davanti alla platea romana.
Ha aperto il concerto con Lady sings the blues e poi Loverman, Don’t explain, Foggy Day, You’ve changed, My mother’s son in law, God bless the child, Miss Brown to you e la fantastica Strange fruit, un pezzo di Billie che denunciava l’uccisione di un nero da parte dei bianchi il cui corpo fu appeso ad un albero e che è diventata negli anni ‘40 l’inno della protesta dei diritti civili.
A differenza della Holiday, ma fare un paragone non è comunque adatto in questa sede, la voce di Dee Dee è potente ed energica, travolge con impeto l’ascoltatore. Il suo modo di cantare è solare e brillante, i suoi acuti perfetti e i vibrati si avvicinavano molto allo stile della sua ispiratrice. I musicisti l’accompagnano con il sorriso sulle labbra, il loro interplay è perfetto e i soli tecnicamente ineccepibili.
Il suo omaggio non è stato un tentativo di imitazione banale, né tantomeno di sconvolgimento totale, ma un tributo sincero e intenso, chiuso con il bis, All of Me, e la sensazione di aver assistito ad un bello spettacolo, ma Billie è un’altra storia…
Valeria Loprieno
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