Fuori dal coro: Dellera
Dopo aver suonato il basso per cinque anni con gli Afterhours di Manuel Agnelli e collaborato con diversi personaggi di spicco della scena musicale indipendente italiana, Dellera pubblica Colonna Sonora Originale, undici tracce rock di cui ci parla lui stesso.
Dopo aver collaborato con Calibro35, Dente e Il Genio, e 5 anni passati con gli Afterhours arriva il tuo primo disco da solista, come mai solo ora e non prima?
Qualcosa già l’ho fatto quando ero in Inghilterra ma non avevo una produzione vera e propria e li vendevo ai concerti. Questo è il primo disco con un’etichetta, la MArteLabel, di cui sono molto contento perché si fidano molto della mia visione e c’è un ottimo dialogo. Senza contare che a loro piace molto il disco e questo è importante.
Il Motivo di Sima è il primo singolo estratto da Colonna Sonora Originale. Come nasce? Perché hai scelto proprio questo brano?
Ho fatto questa operazione suicidio di far uscire questo singolo, che poi non era quello ufficiale ma lo è diventato. Volevo fare un video con Mario Greco, un mio amico di Roma, bravissimo regista e filmmaker e a lui piaceva molto “Il Motivo Di Sima” così è nato questo video low budget molto divertente, con nessuna velleità intellettuale o roba del genere. Abbiamo deciso di farlo uscire a luglio, cosa insolita perché in genere si lanciano a maggio ma Giuseppe Casa sa che fa bene andare anche un po’ in controtendenza e ha detto facciamolo! Il pezzo è di Micky Greaney che è un mio amico inglese con cui ho abitato a Birmingham in Inghilterra. Micky è un personaggio davvero anomalo: dopo 10 anni ancora non è riuscito a far uscire nulla nonostante sia stato corteggiato da vari produttori del mercato discografico inglese anche se pare che adesso stia registrando un disco. “Il Motivo Di Sima” parla di un viaggio in Thailandia per inseguire una donna di cui ero innamorato,una ragazza indiana-inglese con cui sono stato per un paio d’anni. Sono andato in Thailandia per trovarla ma è finito tutto in un disastro. Poi col tempo ci siamo rincontrati ed è stata una cosa bella. Pensavo di poter arrivare al cuore di chiunque invece non puoi riuscire a farti capire da tutti, a volte le persone hanno percorsi troppo diversi dai tuoi.
“Oceano Pacifico Blue” è un brano dedicato a chi si suicida lentamente tutta la vita e poi muore improvvisamente, che hai voluto dedicare a Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys. La storia della musica è piena di figure che hanno vissuto e sono morte in questo modo, perché hai scelto proprio Dennis?
Sì, infatti il titolo è la traduzione dell’unico album da solista di Wilson, Ocean Pacific Blue. L’ho scelto perché mi piace tanto come songwriter, lui non ha mai scritto nel periodo Beach Boys quando era famosissimo. Esplose più come cantante e autore nel periodo anni ’70 quando erano un po’ scomparsi come gruppo. Il testo tra l’altro è scritto a tre mani perché ne parlai a Gianluca De Rubertis, del Genio, e lui ha buttato giù una traccia di testo e poi io e Cesare Basile l’abbiamo un po’ ritoccato ed è venuta fuori la traccia attuale.
C’è una canzone del tuo disco a cui ti senti particolarmente legato?
Sicuramente qualcuna c’è, come “Il Tema Di Tim E Tom”, l’unica in inglese, che è stata registrata in parte lì. È una storia vera di una giornata passata nella foresta Earlswood vicino a Birmingham con un’altra band con cui suonavo all’epoca e passavamo il tempo a giocare col treno che passava dentro la foresta, a lanciare monete. Sono molto legato anche a ”Il Motivo Di Sima”, mi piace molto il testo. Siccome il disco ha avuto una gestazione molto lunga a volte lo ascolto e mi sembra che devo già fare altre cose tanto che ho una serie di canzoni nuove già pronte che voglio registrare. Però sono molto contento della produzione di Tommaso Colliva.
Com’è nata questa collaborazione?
Noi ci siamo conosciuti alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, dove ho lavorato parecchio e ci siamo piaciuti reciprocamente. A me è piaciuto lui per come gestisce il suo lavoro e per le sue qualità, a lui il mio progetto e ci siamo combinati. Alcune parti le ho prodotte io ma i mix li ha fatti quasi tutti lui, alcuni ci ha messo mano e idea. Tommaso ha una visione e una capacità di mettere le mani sulle macchine che secondo me in Italia hanno in pochi e poi l’esperienza internazionale con i Muse sicuramente lo ha fatto crescere. Per me è stata una gioia confrontarmi con lui che è il numero uno!
Il disco esce con MArteLabel, etichetta indipendente, ma con gli Afterhours sei anche stato con una major, che differenza c’è tra i due mondi?
Gli Afterhours hanno lavorato solo per l’ultimo disco con la Universal poi si è chiuso il rapporto e anche loro sono tornati a essere totalmente indipendenti. Credo che la scelta tra un’etichetta indipendente e una major dipenda dal tipo di progetto e da dove si vuole andare a parare con la musica e con l’immaginario poi è chiaro che è anche una questione economica. Andare a tutti i costi in una major è solo immagine e snobismo secondo me, invece, è meglio ottenere dei contratti in funzione di quello che si deve fare.
Diciamo che oggi le major sono anche molto rivolte verso prodotti più commerciali che magari provengono dai vari reality televisivi…
D’altronde i soldi in questo momento si stanno muovendo soprattutto lì ed è chiaro che loro siano le più interessate: hanno anche la capacità strutturale per sostenere progetti di quel genere. Questo non vuol dire che le major pubblichino solo roba di bassa qualità, assolutamente no, però sicuramente se hai un progetto pop e ti serve una grande visibilità allora le major danno migliori opportunità rispetto alle indipendenti. Se sei un artista più intimista e di nicchia può darsi che nelle major ti brucino subito quando si accorgono che non hai potenziale di vendita, magari fanno uscire due singoli e poi ti tengono il disco a morire lentamente però io non ho problemi né con le major né con le indipendenti, credo dipenda solo dal tipo di progetto. Al momento con MarteLabel sono supercontento!
Con gli Afterhours sali sul palco come bassista, che differenza c’è col salirci come cantante?
È un po’ come avere due famiglie diverse, sei sempre tu ma in due situazioni diverse per ruolo ma anche come essere umano. È diverso suonare davanti alle 7.000 persone degli Afterhours in cui però sei parte di un team e senti meno la responsabilità anche decisionale: Manuel è stato bravissimo a creare il gruppo e a tenerne le fila, è geniale. Suonare la chitarra completamente solo davanti a cento persone è un altro tipo di emozione e forse molto più forte che suonare davanti a 5.000 persone sia perchè canti le tue canzoni e le tue storie sia perché con gli Afterhours sei sul palco con una struttura medio – grossa e un pubblico che già conosce le tue canzoni mentre da solo anche se davanti a trenta persone sono molto più emozionato.
Hai vissuto in Inghilterra dieci anni, in cosa ti ha influenzato la scena musicale inglese e in cosa quella italiana?
Diciamo che la super-gavetta l’ho fatta in Inghilterra ed è lì che ho realizzato le migliori aspettative a livello attitudinale, di approccio ai suoni e allo strumento, l’approccio all’intero mondo della musica. Per dire la solita frase grama l’Inghilterra è un paese rock’n’roll l’Italia no e forse non lo è mai stata. La verità è un po’ questa. In Inghilterra e in America il rock’n’roll ha sempre rappresentato anche un attitudine dei giovani al sociale e la musica è nell’aria ovunque. Anche uno che ha diciassette anni e fa hip hop in casa col computer conosce venti pezzi di Elvis e venti pezzi dei Beatles perchè la musica è nell’aria: la trovi ovunque, dal benzinaio come in salumeria!
Magari c’è anche un po’ di sperimentazione in più…
Anche! In Italia non c’è musica nell’aria né nostra né straniera, neanche i mostri sacri riescono ad esserci: non che se tu vai in panetteria senti Luigi Tenco o la Vanoni. Da noi sfortunatamente non è nell’aria però noi facciamo il tifo per questa strana forma d’arte che invece è una cosa molto bella: la musica è magica!
Chi sono i tuoi punti di riferimento in ambito musicale o gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Boh…io ho ascoltato tante cose… sono un grande fan dei Soft Machine, gruppo di Canterbury in cui c’era Robert Wyatt, che, partito da un pseudo-rock psichedelico, è finito a fare jazz, poi la musica anni ’50 e ho vissuto tutta la scena del british pop inglese…mi sento più vicino a John Coltrane che a Fabrizio De Andrè, credo che l’influenza sia più inglese…lì la storiografia della musica è piena di band e tra queste ce ne sono di più che lasciano il segno mentre da noi restano mimetizzate, anche i CCCP meriterebbero un posto importante nella storia della musica italiana così come Cesare Basile però se non vendi più di 50.000 copie non si ha poi tanto interesse a parlare di te purtroppo.
Hai suonato in diversi paesi all’estero, che differenze hai notato?
È proprio una cosa diversa. Oltre l’esperienza in Inghilterra sono stato in America con gli Afterhours e il pubblico era pazzesco, ci faceva suonare in modo diverso perché c’era un’energia diversa e dopo i concerti veniva a fare degli apprezzamenti e delle osservazioni anche tecniche e stilistiche. In Italia in cinque anni mi sarà capitato tre volte. La gente lì ne sa, hanno tutti una chitarra in casa, però l’Italia rimane una nazione fantastica con tante carte da giocare e con un modo particolare di comunicare tra le persone. È un paese in cui c’è una buona dose di sincerità tra le persone, sicuramente superiore a quella dei paesi anglosassoni che sono tradizionalmente chiusi.
Hai contribuito all’occupazione del Teatro Valle a Roma, emblema della situazione degli artisti e dell’arte in Italia, a tuo parere da cosa dipende la situazione attuale?
Si, ho partecipato a un progetto di musica e teatro legato all’Angelo Mai, che è uno di quei posti incredibili a dimostrazione che quando ci sono buone idee ce la si può fare, e poi con Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli abbiamo fatto un piccolo set a teatro. Il Teatro Valle non ha mai lavorato così tanto e questa è una cosa veramente fantastica che dà coraggio a tante altre situazioni simili in Italia. Non è facile da gestire perché comunque gli ospiti sono molto eterogenei a partire da artisti più affermati a artisti che hanno appena iniziato.
Però il successo che loro hanno è un po’ in contraddizione con i continui tagli fatti alla cultura…
Si, ma è già emblematico che sia successo! Sicuramente siamo arrivati a un punto in cui la gente è portata un attimo a infervorarsi a provare un sottile desiderio di rivoluzione perché credo che la situazione sia molto grave. Una finanziaria che preveda tagli alla cultura è già una forma di suicidio fatta da persone incoscienti, nel senso che non hanno coscienza della realtà del proprio paese e di come le cose potrebbero essere. I paesi che investono sulla cultura hanno dei risultati. Anche in Inghilterra negli anni ’80 col governo Thatcher la popolazione fu fortemente disillusa perché nel momento in cui fai credere a un popolo che non ha più il potere di cambiamento qualsiasi cosa faccia, uccidi il desiderio. In Inghilterra molta meno gente che in Italia discute di politica al bar,al tavolo e chi è più grande di me dice che undici anni di Thatcher hanno sopito gli animi. E questa disillusione porta anche a non fidarsi degli altri e a voler gestire tutto da sé. E il non confronto è l’antitesi della democrazia.
Credi che si investa abbastanza nella creazione di una cultura musicale nelle nuove generazioni?
Non lo so… questa estate ho visto un paio di bei festival indipendenti, di cui uno a Poppi, nell’aretino, che, senza appoggio da comune o regione, ma solo con sponsor locali, è stato meraviglioso e molto ben organizzato. Queste sono le cose che ti danno speranza perchè ti fanno pensare che se uno vuole può far accadere delle cose. A livello mediatico invece siamo morti, non abbiamo un solo programma sulla musica di un certo spessore.
Dove ti aspetti che ti porterà questo disco?
Non ne ho la più pallida idea! Voglio sentirmi parte di qualcosa che mi fa stare bene e che funzioni. Ora per un paio d’anni sono qua e voglio portare in giro il mio disco divertendomi il più possibile, poi in primavera uscirà quello degli Afterhours, che è un disco importante secondo me, e voglio suonare dal vivo anche quello.
Giuditta Danzi
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