Tra gondole e psicanalisi
[CINEMACITTA’]
Sabato 10 Settembre sono stati premiati tutti i vincitori della 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia. Ci siamo ritrovati con un Leone d’Oro per il Faust di Aleksandr Sokurov e con l’atteso premio speciale della giuria per il Terraferma di Emanuele Crialese.
Quest’anno alla laguna c’è stato un grande spettacolo e il red carpet è stato attraversato dai divi più in voga del momento: Madonna con i suoi abiti appariscenti ha fatto più parlare di sé per una gaffe sulle ortensie che per il suo film W.E., George Clooney ha presentato con una certa impeccabilità il suo film denuncia sui giochi sporchi della politica durante una campagna elettorale (Le idi di marzo) e Michael Fassbender è andato girando bello e lindo con un paio di infradito ai piedi.
Autori come Roman Polanski, David Cronenberg ed attori come Kate Winslet insieme a Gary Oldman (quest’ultimo per l’atteso Tinker, Tailor, Soldier, Spy), sono solo la ciliegina sulla torta di questo grande spettacolo Veneziano.
E se ci siamo sentiti un po’ lontani, esclusi e rinchiusi in casa, impossibilitati dal raggiungere la meta prefissata, l’Anec Lazio come ogni anno è venuta in nostro soccorso, pronta a farci rivivere le emozioni di questa 68° edizione.
Con “I grandi Festival…da Venezia a Roma”, dal 12 al 18 settembre in diversi cinema della Capitale come l’Adriano, il Quattro Fontane e il Farnese a Campo de’ fiori, è stata data la possibilità agli spettatori Romani di poter sentire in lingua originale sottotitolati, una serie di film selezionati dalla Biennale di Venezia.
Una selezione di titoli da tutte le categorie del Festival tra cui Concorso, Fuori Concorso, Orizzonti e Settimana della Critica; film come Quando la notte di Cristina Comencini, l’irriverente Shame di Steve Mcqueen, la mini serie in cinque episodi Mildred Pierce e non meno importante il favorito Carnage di Polanski, sono passati sui vari schermi di questi cinema, allietandoci nelle nostre ore da puri “cinemaniaci” e fornendoci una certa emozione da classica anteprima.
In questa XVII edizione abbiamo potuto visionare per voi anche l’ultima pellicola di David Cronenberg, criticata e allo stesso tempo apprezzata dalla stampa, basata sulla pièce teatrale di Christopher Hampton, The Talking Cure e sull’omonimo libro di John Kerr.
A Dangerous Method si classifica come uno dei film più leggeri e meno inquietanti della filmografia di Cronenberg che tra antichi splendori come Videodrome, La mosca ed eXistenZ, ci ha fatto avvicinare maggiormente al suo mondo degli ultimi anni, che cominciò con Spider e proseguì con La promessa dell’assassino.
Già influenzati dalla trama di Prendimi l’anima di Roberto Faenza del 2002, ci ritroviamo ancora una volta con il rapporto professionale e sentimentale che si instaura tra la russa Sabina Spielrein (Keira Knightley) e il suo psichiatra Carl Jung (Michael Fassbender). Una volta che la relazione clandestina apporterà delle modifiche all’orientamento di Jung sulla psicoanalisi, si assisterà al lento declino e alla rottura con il suo stimato mentore Sigmund Freud (Viggo Mortensen).
Ciò che maggiormente si è criticato in quest’ultima pellicola di Cronenberg è stato proprio il fatto di non aver riscontrato segni “cronenberghiani” e tanto meno immagini evocative: la sua storia è un susseguirsi di parole, scontri e sguardi, irrimediabilmente macchiati da uno sfondo torbido e sessuale.
Come lo stesso regista ha ammesso, il suo compito è da sempre stato quello di tirare fuori il concetto principale da uno script e in questo caso l’interesse principale per Freud lo ha spinto a documentarsi, attraverso libri e lettere. Difatti, lungo la trama della pellicola tra momenti del tutto ilari e profonde discussioni fatte di sogni e teorie, si ha la più che lucida convinzione che lo scambio di lettere tra i due pionieri della psicoanalisi siano state il vero fulcro della vicenda.
Quella che appare come una storia d’amore impossibile da vivere e che si riversa su un pericoloso triangolo fatto di rapporti in bilico, finisce con il donare interessanti angolazioni della relazione di amicizia e stima tra Jung e Freud.
La loro interazione e le lunghe lettere rappresentate nel film, ci portano a compiere balzi temporali, abbracciando l’intera storia e senza quasi mai soffermarsi troppo a lungo su un qualche evento preciso.
E’ impossibile dichiarare che l’opera di Cronenberg sia un totale fallimento, perché aldilà della staticità della vicenda che prosegue lineare e senza troppi picchi d’emozione, ci viene consegnato un modo di fare cinema, pulito ed informativo.
Se Keira Knightley conferma il suo desiderio di passare a pellicole di un certo spesso, seppur reciti decisamente ed esageratamente sopra le righe, Michael Fassbender fresco della Coppa Volpi come Migliore Attore per Shame e Viggo Mortensen (attore feticcio di Cronenberg) formano una coppia più che vincente, lasciando una certa soddisfazione e un ovvio compiacimento in più di una scena cronenberghiana.
Eppure dove un primo tempo coglie l’interesse dello spettatore per dinamiche ed approcci mentali, la parte secondaria lascia a bocca asciutta, tralasciando le reali emozioni dei nostri protagonisti e piuttosto descrivendole con freddezza come si è soliti fare con una teoria psicoanalitica.
Ciò che infine ne deriva è un film in bilico tra bellezza e mediocrità, di quelle cose infinitamente belle ed affascinanti che spesso risultano difficili da toccare con cuore ed anima.
Il film sarà sicuramente maggiormente parlato e determinato da scenari non proprio riusciti, come sfondi marini decisamente poco credibili, ma se Cronenberg desiderava mostrarci come Fassbender con tanto di baffetti e Viggo con il suo sigaro, stessero tanto bene insieme a conversare di tronchi d’alberi e cavalli, possiamo dire che è riuscito perfettamente nel suo intento.
Alessia Grasso
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