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L’Età dell’Innocenza, regia di M. Scorsese

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leta-dellinnocenza3Ultima decade del XIXesimo secolo. America. Newland Archer (Daniel Day-Lewis) è un ricco avvocato di New York. Egli è promesso sposo della giovane May Welland (Winona Ryder), bella ma convenzionale aristocratica.

Newland sembra intento a seguire ciò che la sua famiglia ha predisposto da tempo: un sodalizio tra la novella borghesia, costituita dalla nuova classe imprenditoriale, e la tradizionale aristocrazia di convenzione, d’origine europea, che sembra aver attecchito anche nel nuovo mondo al contrario degli ambiziosi presupposti secondo i quali sembrava dover esser invece edificato.
Alla luce di questo peculiare scenario irrompe l’imprevisto: l’affascinante contessa Ellen Olenska (Michelle Pfeiffer), apparente fuggiasca d’origine parigina in cerca di rifugio dalle ferree convenzioni aristocratiche della relatà d’oltreoceano; ella anela a tutti i costi di prender le distanze dal marito aspettandosi  asilo dal nuovo mondo e dai parenti della coppia. Tra Newland ed Ellen nasce un’incontenibile passione; una passione che deve a tutti i costi restar celata a causa dei rigidi tabù che governano la risretta cerchia delle alte sfere, nonostante i presupposti prefissati dalla società nuovo et2mondo, idealmente parlando, fossero di ben altra natura.

La perigliosa ricostruzione scenografica attuata da Dante Ferretti, per quest’opera su commissione di Scorsese, è semplicemente strabiliante e lascia senza fiato in ogni singola scena della pellicola. Per non parlare dei costumi – specie nelle scene di massa – sempre ad opera di un vanto nazionale come Gabriella Pescucci (Oscar nel ‘94). Il testo filmico risulta inoltre assai interessante poiché ritratto delle convenzioni, degli usi e dei modi che governavano la nobiltà e l’aristocrazia alle soglie del XX secolo. L’amore tra Newland e la contessa Olenska, costretto a rimanere inesorabilmente idea, crea un escalation di situazioni incalzante per lo spettatore, nonostante il film non abbia un ritmo sostenuto in termini di linguaggio. Il finale melò delude un po’, ma forse risulta esser più onesto e verosimile alla realtà di quanto possa apparire a primo impatto.
Il particolare occhio di Scorsese – nonostante il melodramma non sia proprio il genere di film che può far pensare al regista, e per il quale potrebbe esser ipoteticamente ricordato sui dizionari di cinema – traspare e rende peculiare la pellicola donandogli senz’altro delle connotazioni di portata artistica non indifferenti: come la scelta delle luci e degli spot ad occhio di bue nelle astrazioni amorose che vedono come protagonisti i due amanti clandestini. Soli nel loro sentimento e costretti di continuo a tacere le proprie emozioni e pulsioni sessuali.

Luca Vecchi

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