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Viola

teatralmente
[TEATRALMENTE]

teatralmenteViola come l’abito che indosso in scena nonostante in teatro il viola non si usi. Viola come il colore del lutto, perché Dino Campana nella sua vita morì infinite volte”, queste le prime parole di Elisabetta Salvatori sulla scena del Teatro Keiros di Roma nell’unica data della rappresentazione, il 9 giugno scorso.

Ad accompagnare l’attrice nel suo monologo c’è la musica del violino di Matteo Caramelli. Lo spettacolo racconta la storia  de “il pazzo di Marradi”, straordinario autore di pagine di poesia che danno la scossa: morto nel 1932, a 46 anni in manicomio, dove è stato per 14 anni.
E’ l’infanzia del poeta, il rapporto difficile con la famiglia, il rifiuto, già nella primissima infanzia, che la madre ebbe di lui. E che è andato avanti tutta la vita fino all’atto estremo di farlo chiudere in manicomio. E’ il rapporto con il Mugello, terra amata e odiata, dalla quale partiva per i suoi viaggi, e nella quale trovava rifugio. E’ il rapporto con i compaesani e i letterati dell’epoca. L’arte di Dino Campana non è mai stata accettata fino in fondo, nè riconosciuta almeno fino alla sua morte. Gli intellettuali, ma anche la gente ‘del volgo’ lo snobbavano in quanto matto. E non intendevano il suo genio.
E’ l’unica storia d’amore che ha vissuto è stata con una donna complessa come lui, Sibilla Aleramo. La sua ‘Rina’. Lei che per prima ‘lo riconobbe’. Ma che non seppe andare fino in fondo.
Ed è soprattutto la sua poesia, il suo essere Poeta per dare un senso a una vita che fu un’infinità di calvari.

Chi ama Campana lo trova raccontato con rispetto, chi non lo conosce entra in un mondo commovente, doloroso e poetico. Il testo è costruito su documentazioni e fonti originali.

La Salvatori entra in punta di piedi nella vita di Dino Campana. Dà vita, volto e anima non solo al grande poeta, ma anche alle figure reali e immaginarie che abitano la sua mente. Riesce a rendere con forza e con la giusta partecipazione emotiva i principali momenti della gestazione poetica e artistica di Campana. Ma soprattutto, coinvolge con commozione e partecipazione il pubblico presente.
La Salvatori fa poi la scelta di non recitare le poesie di Campana, bensì le canta. Canta “La speranza” “La chimera”… Canta, accompagnata da Matteo Ceramelli al violino, perché esse (alcune di esse) sono canti (orfici), che hanno una musica ora languida, ora lampeggiante, ora allucinata…
Le musiche sottolineano alcuni passaggi. Calibrate. Trasportano verso l’alto e in profondità. Gli applausi convinti e prolungati del pubblico sottolineano che la Salvatori ha raggiunto il suo proposito: raccontare una vita, raccontare un poeta.

Gabriella Radano

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