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Michel Petrucciani: tributo dalla Casa Del Jazz

ROMA- Un corpo di vetro per un’anima cristallina. Michel Petrucciani era un uomo che sapeva amare e farsi amare, nonostante qualsiasi limite abbia potuto imporgli la vita. Era un uomo che inoltre amava quello che faceva: la musica quanto i viaggi, le donne quanto le sfide.


La transizione e il divenire erano il suo pane quotidiano: cambiava città in controtempo, sincopava tra di loro le sue relazioni amorose, e si dedicava costantemente alle sperimentazioni jazz. Le sue dita danzavano sul piano con la stessa eleganza di una ballerina su uno scenario di guerra, nell’eterna lotta tra i suoi sogni e i vincoli imposti dal suo fisico.
Una guerra apparentemente vinta dalla caducità del suo stesso corpo, sfiancato da un’infezione polmonare all’età di 36 anni, ma che il mondo dell’arte non è affatto disposto ad ammettere. Ciò che faceva notizia di Petrucciani era sicuramente il suo corpo minuto, ma a incidere il suo nome lungo il viale della storia del jazz è stata sicuramente la sua anima musicale. Una distinzione che Michael Radford, da noi noto soprattutto per Il Postino, ha cercato di affrontare nel suo Michel Petrucciani: Body And Soul, che tanto successo ha riscosso all’ultimo Festival di Cannes.
Per rendere omaggio alla sua figura, anche in virtù della recente ondata cinematografica, Andrea Stucovitz e Silvia Barba, con la collaborazione della Casa del Jazz, hanno dato vita lo scorso 21 giugno a un concerto tributo con un notevole carnet di ospiti provenienti dal mondo del jazz nostrano. Personaggi della musica come Rita Marcotulli, pianista e vecchia amica del compianto Michel, o come Flavio Boltro, trombettista italiano noto per le sue collaborazioni con Steve Gossman. Per non parlare dello stesso Alexandre Petrucciani, figlio di Michel afflitto dalla sua stessa malattia. Alexandre, entusiasta della manifestazione, ha voluto a tutti i costi partecipare all’evento.

Ad aprire il concerto è stato proprio il quintetto capitanato da Boltro, con Eric Legnini al piano, Manhu Roche alla batteria, Pippo Matino al basso, e Francesco Cafiso al sax, che hanno ripreso molte delle esecuzioni più famose di Petrucciani. Per la seconda parte si sono esibiti la stessa Rita Marcotulli al piano, Aldo Romano alla batteria, Furio Di Castri al contrabbasso e Stefano Di Battista al sassofono. I due pianisti, durante le loro rispettive esecuzioni, hanno suonato rigorosamente di spalle. A dare il ritmo all’intera serata, la proiezione di foto e la lettura di una lettera dello stesso Petrucciani, oltre che la visione di poche brevi clip d’anteprima del film di Radford.
Un concerto dai toni delicati e incalzanti, all’insegna della rievocazione incorniciata in un’atmosfera tra le più suggestive, per uno spettacolo che ha dato così il via alla stagione estiva della Casa del Jazz. Tra performance tipiche di Petrucciani, come “Beautiful but why”, “Rachid”, “Brasilian Like” e “Say Again And Again” (solo per citarne alcune), le due formazioni hanno saputo intrattenere il loro pubblico, con assoli di batteria improvvisati e duetti a base di tromba e sax, impedendo persino agli orecchi meno abituati di annoiarsi.
Finale di gruppo, con tutti gli ospiti sul palco per una versione corale di “Take The A Train”, con strumentazioni raddoppiate che prestavano il fianco a delle vere e proprie dialogazioni musicali argomentate ad assoli, in un clima goliardico e ritmico che ha saputo raccontarci ancora una volta la storia del piccolo che seppe farsi grande.

Giampiero Amodeo

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