Il Pierrot Bobo Rondelli
A chiudere in bellezza il maggio targato MArteLive, il cantautore livornese Bobo Rondelli. Un tempo voce degli Ottavo Padiglione, ora solista e velato di malinconia, Rondelli è un artista che cerca di non prendersi troppo sul serio e approccia la musica con una leggerezza, che rivaluta l’importanza dell’espressione artistica in quanto tale.
Divertente, scanzonato e un po’ triste come un Pierrot, Bobo Rondelli ci racconta il suo modo di intendere la musica e la vita…
Ciao Bobo, innanzitutto benvenuto a MArteMagazine!
Ciao a tutti!
Mi sembra che tu sia perfettamente in linea con lo spirito di MArteLive: hai scritto colonne sonore e recitato nel musical Sud Side Stori, scritto la colonna sonora di Andata e ritorno, hai recitato con Paolo Virzì…
Sai, quando uno canta interpreta anche una poesia attorialmente, cioè tira fuori la voce in un certo modo, anche cantando. I più grandi attori si sono inventati un loro modo di parlare riconoscibile: vedi Mastroianni, Tognazzi, Carmelo Bene. Si sono inventati una sorta di canto senza musica, se vuoi. E quindi quando uno fa musica ti può capitare di musicare un film. Poi se vai in scena, è sempre teatro, no?
È sempre un’esibizione, sì…
Io ritengo che comunque far l’attore significa cantare. C’era addirittura un regista francese, Robert Bresson, che faceva provini esclusivamente al telefono, non voleva assolutamente vedere i volti per quanto fosse importante proprio la voce. Col doppiaggio in Italia questo s’è un po’ perso, a volte siamo più affezionati al timbro di voce del doppiatore di De Niro che non a quella di De Niro stesso. Poi secondo me l’arte si lega al fatto che viene bene se qualcuno ha qualcosa da dire. Oggi è un po’ difficile avere qualcosa da dire, magari ci sarebbe molto da dire, ma c’è un pubblico un po’ disperso, ognuno a rincorrere i suoi guai, il suo mondo, i suoi gusti. È un po’ difficile capire il pubblico di oggi. Personalmente ritengo che attualmente siamo in una fase medievale…
… in che senso, medievale?
Nel senso che a volte più che fare l’artista sembra importante dare speranze a chi ti viene a sentire, emozionare, far sparire il tuo pubblico dentro a ciò che hai da dire.
Qual è il rapporto che hai col tuo pubblico? Sembra che per te comunicare sia più importante del successo.
Certo, comunicare è fondamentale. Non dico che vorrei cambiare il mondo, però, vorrei cercare sempre di dare qualche speranza. Se stai zitto rispetto a come la pensi sul mondo, togli del tutto le speranze e togli anche le illusioni. Come diceva Tenco “la speranza è ormai un’abitudine”.
Tu ti consideri un cantautore impegnato? Perché fin dall’inizio sei sempre stato abbastanza critico contro il “sistema”.
Impegnato sì, al banco dei pegni… (ride) Nel senso che faccio fatica ad arrivare a fine mese…
A chi lo dici!
Sai, per fare l’artista ci vuole anche l’economia…
Ovviamente intendevo politicamente: a volte ci sei andato piuttosto pesante.
Sì, certo. Sarei un po’ alla Gino Strada di Emergency. A volte ho anche un po’ orrore di me stesso, sono ancora molto preso dall’ego. Una persona come Gino Strada e altri che lavorano per Emergency, invece, e danno la loro vita, il loro tempo, ritengo siano persone che fanno fatti non discorsi.
Però per fare l’artista devi essere un po’ egocentrico, credo, altrimenti non lo fai.
Tutt’e due. Anche comunque voler “sparire” nell’opera d’arte. Se vai a vedere un buon film ti rimane il buon film non è (solo) stato bravo l’attore: ti sei emozionato per la storia. Secondo me l’opera d’arte funziona quando l’artista sparisce nell’opera, quando il cantante sparisce e resta più la bella canzone…Certo, sì, ci vuole una certa dose di ego. Non so dirti, a volte uno s’è trovato a fare “questo lavoro”.
E questo secondo te è più vero quando sei solista o quando suoni con un gruppo?
Credo che sia sostanzialmente lo stesso. Diventi più concentrato su te stesso quando passano gli anni e magari invecchi, acquisti una maturità più sana, hai i tuoi figli.
Sì, però ho notato che mantieni sempre contemporaneamente un’anima sarcastica e una malinconica che non vedo affatto in contraddizione. Sei d’accordo?
L’ultima volta che ho suonato a Torino mi hanno parlato di Rabelais, un pensatore musicista e cantautore del Cinquecento francese, che esprimeva allo stesso tempo sarcasmo e malinconia, rabbia e satira. Io non ci vedo contrapposizione anche se essere sarcastici e satiri rende un po’ allegri… A volte può capitare che alcune delle tue canzoni piacciano e ti diano del poeta: allora mi metto a far la scimmia per cercare di scordarmi di essere uomo che soffre: molto meglio far la scimmia che salta sugli alberi. Io, come diceva Petrolini, “sono un uomo che s’offre”.
So che tu preferisci pensare a te stesso più come a un artigiano che a un artista. Mi puoi spiegare in che senso?
Innanzitutto, per me, artista lo diventi dopo la morte, se la tua opera continua a esistere, se qualcuno dirà una cosa che hai detto tu, una frase… Per me artista è un parolone, mentre artigiano no: si lavora con le parole come con le scarpe. Io mi ritengo uno molto più adatto ad andare sui palchi che a stare dietro a fare un lavoro di scrittura…
Un po’ quello che dicevamo all’inizio sull’esibizione…
Sì, c’ho una scimmia notevole, e quando mi parte… Anche perché ho una buona capacità d’improvvisazione e non me ne frega assolutamente niente. A una certa età non hai niente da difendere, né una posizione e con gli anni gli dai sempre meno peso. Sto benissimo in questa fase, come se avessi già dato.
Poi oltre un certo tot io non ce la faccio a parlare seriamente, a spiegare.
Il problema sono proprio le interviste. Cioè, che posso avere da dire?
A volte vedo i miei cosiddetti colleghi e li vedo fieri di quel che fanno. E questo non mi piace tanto, sembrano convinti di fare davvero opere d’arte, sono contenti fieri del loro personaggio, pensano magari ingenuamente di migliorare il mondo.
Ma tu non ci credi neanche un po’ in quello che fai? Non ti piace?
Ogni tanto sì, però non ti puoi prendere sul serio per quattro canzonette anche con tutto quello che è stata la canzone. A volte, francamente, provo un po’ vergogna per la mia scrittura rispetto a quello che era il mondo di De Gregori, Guccini, Leonard Cohen, anche se certamente quello era un altro periodo.
Quindi quali sono gli artisti che ti piacciono e che ti influenzano quando scrivi?
Sono tantissimi, ma direi soprattutto i Beatles.
Allora ci vediamo, grazie Bobo.
Grazie a te, a presto!
Chiara Macchiarulo
Foto di Daniele Rotondo
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