8.10.88: la linea sottile della precarietà
ROMA- 8.10.88 è il titolo dello spettacolo teatrale andato in scena il 13 e il 14 maggio presso il Teatro Ambra alla Garbatella, fantasticamente interpretato da Roberto Rotondo, con la regia di Martina Ruggeri e prodotto da Industria Indipendente, che in questa occasione presenta per la prima volta la versione integrale di questo spettacolo arrivato tra i finalisti della sezione teatro nell’edizione del MArteLive 2009.
Salvatore Santangelo, il protagonista sul palcoscenico, è un trentenne che ama la musica rock, è appassionato di Elvis Presley e di tutto ciò che lo distingue dall’ordinario con cui suo padre e sua madre si erano imposti nella sua vita da adolescente.
Salvatore Santangelo ha dei genitori invisibili, ma al tempo stesso sono presenti sul palcoscenico, si rivelano due entità che riconosciamo per il tono austero con cui si rivolgono a Salvatore, con cui cercano ardentemente di indirizzare il suo futuro verso la danza, quel sogno proibito a molti, ma non a Salvatore che non riesce da bambino a sottrarsi al volere del padre. Quel padre, Arturo Santangelo, di cui i giornali parlano come promessa, stella nascete, era da giovane un ballerino che con sapiente dedizione ha costruito la sua esistenza sul ballo, ma che proprio nel momento del suo sospirato e tanto atteso debutto alla Scala cadde a terra, compromettendo per sempre la sua carriera.
L’8.10.88 il sogno di Arturo Santangelo si infrange sul palcoscenico della Scala, ma egli stesso cercherà di ricrearlo identico nella vita di Salvatore a cui, da quel giorno in poi, viene imposto il sacrificio della danza, della postura, della musica classica che accompagna i suoi esercizi, quei pomeriggi di lunghe ed interminabili flessioni che dovevano segnare il suo percorso verso il successo. Quello sottratto a suo padre e lo stesso a cui sua madre aveva dovuto rinunciare a causa della gravidanza che trasforma il corpo e l’anima.
Ma Salvatore Santangelo non ama la danza, nemmeno la musica classica, e oggi è un trentenne in cerca di se stesso e delle proprie aspirazioni, offuscate dal ricordo del padre ormai morto. La ricorrenza della morte paterna che ha luogo sul palco non passa in secondo piano nella vita di Salvatore, anzi sembra un motivo in più per riportare a galla la sua difficile infanzia, la severità della voce di suo padre quando gli imponeva gli esercizi alla sbarra, l’inettitudine materna e i suoi vaghi tentativi di liberarsi da queste imposizioni.
Salvatore ha tanti sogni, vorrebbe cercare di ricostruire la sua esistenza sottraendola al monocolore con cui gli era stata imposta la danza, vorrebbe fare trionfare la moltitudine di colori, come quella delle sue scarpe che indossa a fatica, perché ora può scegliere, ma il passato ha lasciato un segno e una piega.
Oltre la storia c’è un corpo che ha nutrito i nostri sguardi e le nostre attenzioni, l’attore salito su palco ci ha reso partecipi di una storia commovente, che indaga il rapporto tra padre e figlio in chiave moderna, ma con molti riferimenti alla tradizione patriarcale.
Roberto Rotondo porta in scena il personaggio di Salvatore con maestria, si muove sul palcoscenico come se fosse egli stesso il ballerino mancato, il suo corpo, che mostra quasi completamente nudo, si fa riflesso di una duplice versione di Arturo/Salvatore, il quale lascia immaginare lo spettatore durante il monologo del trentenne claudicante, che come suo padre non potrà mai diventare un ballerino ma potrà ascoltare Elvis tutte le volte che vorrà.
Lo spettacolo appassiona in ogni singolo momento della sua rappresentazione, ma l’apice dell’estasi sopraggiunge nel momento in cui l’attore, conducendoci verso la fine del viaggio della memoria di Salvatore, diviene egli stesso il luogo ed il corpo dei dialoghi concitati tra il protagonista ed i suoi genitori: in questi sprazzi di recitazione viene fuori la sua bravura e la sua passione nel rivolgersi al pubblico che apprezza e applaude estasiato. In altre parole: un vero trionfo.
Eva Di Tullio
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