Red Dust, regia di K. T. Mark
Si sa ormai da tempo che molte multinazionali esportano le proprie fabbriche all’estero, sopratutto nei paesi dell’Est dove si può usufruire di manodopera a prezzi stracciati e dove i diritti dei lavoratori sono praticamente inesistenti.
Quello che non si sa, però, è che spesso lo sfruttamento, ma in questo caso la disinformazione e il maltrattamento in atto non avvengono solo per mano diretta dalle grandi aziende produttrici di abbigliamento, giocattoli, elettronica e quant’altro, ma anche da chi sembra apparentemente avere poco a che vedere con esse.
La storia di Red Dust (Polvere Rossa) e’ ambientata in Cina, in una delle tante città che nel giro degli ultimi venti anni ha vissuto il boom economico, da piccoli centri provinciali a megalopoli, con la comparsa di immense aree industriali che hanno dato lavoro a migliaia di cinesi, e che hanno visto compiersi uno dei più grandi esodi del ventunesimo secolo, quello dalle poverissime campagne cinesi alle grandi città industrializzate. La storia vede come protagoniste un gruppo di donne, donne che per anni hanno lavorato in una fabbrica che produceva batterie, le comunissime “pile”.
Tutti i giorni ognuno di noi ha a che fare almeno in una circostanza con quest’oggetto, vuoi tramite un telecomando, una radio portatile o anche un walkman, ma ci siamo mai chiesti cosa c’e’ dietro?
La regista e produttrice Karin T. Mark e’ andata ad indagare cosa si cela dietro le fortissime emicranie e problemi respiratori che questo gruppo di donne hanno riscontrato fin dai tempi in cui lavoravano in fabbrica.
#Red Dust e’ il cadmio, una polvere rossastra che fluttua liberamente nelle fabbriche cinesi di batterie al nickel-cadmio di proprietà di GP Batteries, uno dei principali produttori mondiali di batterie. Ren, una lavoratrice migrante, da tempo si è esposta, mettendosi in prima linea, per ricevere indietro quello che le è stato tolto, la salute, la felicità, la vita. La donna racconta come, ai tempi in cui lavorava, non era provvista della men che minima protezione, senza mascherina, nè guanti o abbigliamento adeguato, lei e le sue colleghe operavano sui macchinari dai cui poi venivano fuori le comodissime batterie.
Il documentario segue la giornata di queste donne, in particolare Ren. La sua famiglia è preoccupata per lei, il marito che ormai vive nell’infelicità vede la moglie prendere continuamente costose medicine per alleviare le proprie pene, ma anche la madre che ancora vive nel Sichuan, nonostante il sorriso sul volto, cela una malinconia e una preoccupazione per i problemi di salute della figlia, e spera che un giorno cambi idea, scegliendo di tornare nella campagna dove è nata.
Quando le donne iniziarono la causa contro la GP, l’azienda si mostrò propositiva, concedendo ad ognuna di loro una visita dal medico per verificare la soglia di tossicità che ognuna di loro aveva contratto nel corso degli anni. La soglia massima entro cui ci si può ritenere “fuori pericolo” equivale a cinque, e tutte coloro che hanno sostenuto l’esame dai medici della GP è risultata entro il limite. Le donne però, scettiche del risultato, hanno optato per una conferma, andando a fare l’esame anche da altri medici, e purtroppo il risultato e’ stato sconcertante: tutte loro hanno presentato una tossicità che va da un minimo di 6 fino a 8.
Tra una fuga da un albergo ad un altro (in Cina riunirsi per scioperi o lotte operaie è illegale) e una sentenza che non le calcola minimamente, nemmeno come esseri viventi degni di una spiegazione e un risarcimento ai danni subiti, le donne vanno avanti nel loro cammino di resistenza e coraggio, chiedendo giustizia al governo locale a sbattendo in faccia al mondo intero la loro piccola ma tanto globale realtà.
Laura Fioravanti
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