Tenero+ Crudele= Luci+Ombre
MILANO- Considerato uno dei più interessanti drammaturghi della scena contemporanea, l’inglese Martin Crimp sbarca a Milano con la versione italiana di un suo testo del 2004, Cruel and Tender.
Impegnato fin dagli anni ‘80 nel rappresentare il decadimento della società contemporanea, considerata un luogo di violenza, dove a fatica si trattengono le paure che poi sfociano in sentimenti crudeli, Crimp non abbandona questo registro nemmeno con Cruel and Tender, in scena, in anteprima nazionale, al Teatro Litta di Milano fino al 20 marzo con il titolo Tenero+Crudele.
“La coppia” – sostiene il drammaturgo inglese – “protagonista del testo, rappresenta i due movimenti di una stessa melodia: una è la sonorità femminile, l’altra è quella maschile, che avanzano insieme senza incontrarsi mai”. In realtà non si tratta di un testo originale, ma di una reinterpretazione di un classico come Le Trachinie di Sofocle. L’opera fu commissionata dal regista Luc Bondy che, chiedendo a Crimp di tradurre Sofocle, voleva in realtà incoraggiare il drammaturgo a ripensare in chiave moderna la tragedia greca, cosa che puntualmente accadde. Per capire al meglio i parallelismi tra i due testi, però è il caso innanzitutto di ricordare brevemente la trama originale di Sofocle: protagonista è Eracle, figlio di Zeus, il quale, per poter portarsi a casa la figlia del re come bottino di guerra, rade al suolo un’intera città. Venuta a conoscenza della notizia, sua moglie Deianira, nella speranza di riguadagnarsi il suo amore, decide di inviargli una camicia imbevuta del sangue di un centauro, convinta che si tratti di una pozione d’amore. In realtà si tratta di un potente veleno che innescherà una serie di eventi che porteranno entrambi alla morte.
Crimp partendo da questo canovaccio, aggiorna il mito di Eracle, trasformando l’eroe greco in un generale (portato in scena da un bravo Gaetano Callegaro) che combatte il terrorismo nelle zone più “calde” del globo; sua moglie Amelia (interpretata da una poco convincente Cara Kavanaugh) vive invece confinata accanto a un aeroporto, in attesa del ritorno del marito, che un giorno le invia a casa Laela, (Elisabeth Semeha), una giovane donna africana incontrata durante una missione e di cui si è innamorato. In realtà la ragazza è molto di più di un’amante: è stata, infatti, lei la vera causa della guerra scatenata dal marito contro un’inerme città. Amelia però non si dà per vinta e nel tentativo di riconquistare il marito, gli invia un cuscino contenente una fiala che dovrebbe avere effetti magici, ma che invece ridurrà il marito in fin di vita. La storia dunque, mutatis mutandis, si ripete, ma agli occhi dello spettatore moderno la vicenda assume un sapore diverso, influenzato com’è dalle cronache degli ultimi anni.
E non è un “sapore” casuale. Crimp, infatti, ha ammesso: “Quando ho iniziato a scrivere il testo era il 2003, anno in cui Tony Blair dichiarava che Saddam Hussein nascondeva armi chimiche che avrebbero potuto distruggere il nostro Paese. Una grande menzogna che ha causato la guerra. Nella tragedia di Sofocle, Eracle distrugge un’intera città per impossessarsi della figlia del re e portarsela a casa come bottino di guerra. La bugia è un’altra, la sostanza è la stessa”. Il testo infatti è forte per i suoi significati latenti: la sete di potere, la voglia di prevaricare sui più deboli, la capacità di cercare pretesti per portare la guerra in altre parti del mondo, ma soprattutto il potere dei media e l’abilità dei governanti nel manipolare gli eventi a loro vantaggio.
Insomma, un testo che sicuramente merita per il forte messaggio di denuncia, ma che purtroppo non ha potuto contare su una messa in scena all’altezza del suo potenziale. Alcune scelte, infatti, sono apparse alquanto discutibili, prima fra tutte quella di optare per Cara Kavanaugh come protagonista principale. L’attrice, infatti, ha un marcato accento inglese, cosa che oltre a rallentare il ritmo dei dialoghi, ha anche annacquato il suo complesso ruolo di donna innamorata e tradita. Stesso discorso vale per Laela, portata in scena in modo piuttosto stereotipato dalla Semeha. A tutto ciò va aggiunta l’infausta scelta di non dividere la pièce in due blocchi, preferendo uno spettacolo senza interruzioni di due ore e mezza, scelta che ha comportato degli inevitabili cali di tensione e di attenzione nel pubblico in sala.
Di gran lunga meglio i protagonisti maschili, in particolare Callegaro, molto credibile nel ruolo di un generale folle e insensibile al dolore provocato, sia in famiglia sia in guerra, dalle sue azioni. Altrettanto bravo Volker Muthmann, nei panni di Jonathan, un politico senza scrupoli interessato solo a salvar la faccia e la poltrona. Interessante, poi, la scelta del regista Antonio Syxty di portare in scena il classico coro greco attraverso dei video in cui scorrono i dialoghi delle domestiche, sempre frivole e insensibili alle tragiche vicende che si stanno consumando in casa.
Insomma, dovendo dare un giudizio complessivo, tanto di cappello per il testo e la prova di alcuni attori, ma certe scelte hanno trasformato una pièce dalle grandi potenzialità in qualcosa di semplicemente interessante, ma sicuramente non altrettanto efficace.
Christian Auricchio
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