Neroluce
[TEATRO]
È apparentemente solo un vagone di un treno. Il vagone di un treno qualunque quello che ospita i quattro protagonisti di Neroluce, opera di Roberto Russo diretta da Paolo Ricchi al Teatro San Genesio di Roma fino al 27 febbraio scorso.
In realtà è il rifugio atipico dei quattro protagonisti. Due coppie borghesi, rispettabili, eleganti, avvolte dal loro consueto perbenismo si ritrovano l’una contro l’altra, in lotta, in un coacervo di sospetto, ira, dubbi e frasi malvagie. I quattro passeggeri del vagone stanno scappando. Sembra che fuori ci sia una guerra che non risparmia nessuno. Sebbene siano senza biglietto, partono, hanno nel cuore la speranza di sopravvivere al nemico, di poter vivere da qualche parte nel mondo. Ma chi è il nemico?
Presto si scopre che ognuno è solo nemico di sé stesso. L’identità di ognuno è messa a dura prova tra provocazioni e ipotesi confabulate in segreto, sottovoce, nel silenzio della notte. E quando appare il bigliettaio le ipotesi si moltiplicano, la confusione e lo smarrimento generano quasi sentimenti di vendetta.
In Neroluce si coglie un’amara riflessione sul viaggio della vita. Un viaggio che è privo di senso se non si sa più dove si va e dove si vuole arrivare. Perché un viaggio senza biglietto è un po’ come quello di chi fa il vagabondo, è un cammino senza rischi: mediocre, piccolo, forse inutile. Senza méta e senza biglietto si diventa clandestini della propria stessa vita. Si perde il nome e l’identità. Quella stessa che ogni essere umano cura e ostenta fin dalla nascita. L’identità che ci illude di poter essere padroni del mondo. Sì, proprio quella rassicurante identità.
Lo spettacolo è un pensiero profondo su quanto gli uomini siano avvolti da rassicuranti titoli e “pezzi di carta” e diventino goffi e impauriti senza le loro quotidiane certezze.
E per tutto il tempo chi guarda non può far altro che chiedersi chi sia davvero il bigliettaio? Forse un dio dei nostri tempi “macchinista” della vita degli uomini? O un uomo attempato che dà buoni consigli ai passeggeri? Un dio-burattinaio pirandelliano trasformato in un bigliettaio macchinista che lascia sgomenti i passeggeri del viaggio-vita. Può darsi.
Neroluce è una metafora della condizione esistenziale dell’uomo. Lo scompartimento di un treno diventa così una sala d’ attesa dove forse non sarà possibile vivere, ma sopravvivere sì. È quello che fanno i quattro protagonisti interpretati da Fabrizio Caiazzo, Patrizia Tudisco, Piero Dimarzia, Angela Zampetti. Sul NERO, parola che chiude il cammino, si scorge una LUCE. Un bagliore nel buio dubbioso dell’esistenza… a muovere la torcia l’enigmatico bigliettaio (Massimo Dionisi).
Elsa Piccione
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