Un adorabile malato immaginario
[TEATRO]
MILANO- Scritta e portata in scena nel 1673, Il malato immaginario, fu letteralmente l’ultima fatica di Molière. Infatti il grande commediografo francese, già da tempo malato di tubercolosi, recitò, poche ore prima di morire, proprio questa commedia, coprendo con una risata forzata la tosse che lo assillava.
Di lì a poco sarebbe spirato tra le braccia di due suore che lo avevano accompagnato a casa dopo la rappresentazione. Proprio da questo triste evento pare sia poi nata la superstizione di non indossare, in Francia, il verde in scena, in quanto era lo stesso colore dell’abito indossato da Molière. In Italia la superstizione “ cromatica” si basa, invece, sul colore viola, che sembra fosse il colore dell’abito di scena del Molière nell’ultima scena de Il malato immaginario.
Aneddoti a parte, la commedia è considerata una delle migliori del suo vasto repertorio, intrisa com’è di cinico realismo. Lo stesso protagonista, Argante, che si presenta come un classico personaggio farsesco, pronuncia a tratti affermazioni lucide e ragionevoli, che tradiscono la loro origine: infatti Molière, come già in altre opere, approfitta delle occasioni comiche offerte dalla trama per introdurre in modo inaspettato un’aspra denuncia della società a lui contemporanea, focalizzandosi stavolta sui medici e la loro (presunta) capacità di curare gli ammalati. Ed è proprio con questa commedia, andata in scena al Teatro Carcano di Milano, che torna a cimentarsi, dopo 25 anni, Paolo Bonacelli, anche se l’attore viterbese giura che per lui “ogni interpretazione è comunque nuova. L’ho interpretato anni fa e non mi ricordo assolutamente niente, neanche una battuta! Magari mi ricordo delle battute in turco di un vecchio film”.
La pièce, articolata in tre atti, si svolge tutta in casa del ricco Argante (un impeccabile Bonacelli), padre di una figlia devota (Gaia Insenga), marito di una donna avida e fedifraga (la bella Giovanna Rossi) che lui crede disinteressatamente innamorata, nonchè vittima di uno stuolo di dottori salassatori e ciarlatani che lucrano sulla sua ipocondria. Infatti il protagonista è convinto di essere un malato cronico. Lo troviamo così, all’apertura del sipario, seduto in mezzo al palcoscenico, con il capo reclino sul suo scrittoio, sprofondato in un sonno in cui si materializzano, come ombre, tutti i personaggi che popolano la sua vita. L’ipocondriaco, al suo risveglio, si trova a dover affrontare i conti da saldare per le inutili e costose cure prescritte da medici sempre ben disposti a somministrare purghe e clisteri. Nonostante i costi però, Argante non è disposto a rinunciare a questi medicamenti, pena il rendersi conto di quanto si faccia manipolare ed ingannare a causa della sua ingenuità. Per fortuna non tutti vogliono approfittare della ricchezza del malato immaginario: i veri medici, in grado di aprigli gli occhi e convincerlo di come stanno realmente le cose, sono infatti suo fratello Beraldo (interpretato da un elegante Carlo Simoni) e la sua governante Tonina (una simpatica e applauditissima Patrizia Milani). Sono loro, tramite discorsi ed un esilarante travestimento, a provare in tutti i modi a farlo rinsavire dal proposito di dare in sposa sua figlia Angelica ad un imbranatissimo medico (interpretato dal buffo Fabrizio Martorelli), solo per avere consulti gratis e in tempo reale. Insomma una storia che vede scontrarsi due elementi agli antipodi ossia da un lato, la farsa all’antica con i suoi spunti comici, dall’altro la cinica visione del mondo di un uomo che ha smarrito, nelle delusioni della vita, la fiducia in sé stesso e nei propri simili.
Per quanto riguarda gli attori in scena, il regista Marco Bernardi è sicuramente riuscito nel non facile compito, considerata l’indiscutibile bravura di Bonacelli, di allestire una compagnia all’altezza del protagonista principale, in cui tutti riescono a ritagliarsi il loro momento di celebrità. In particolare, Martorelli, che interpreta lo stralunato figlio del dottor Diarroicus, è perfetto nel far coppia con suo “padre”, interpretato da Libero Sansavini, regalando al pubblico in sala uno dei momenti più esilaranti della rappresentazione. Stupendi, poi, i costumi d’epoca di Roberto Banci, capaci di esprimere le diverse “attitudini” dei personaggi. Costumi, che in un certo qual modo, si contrappongono al minimalismo della scenografia curata da Gisbert Jaekel, caratterizzata da uno sfondo velato, da cui si intravedono i personaggi che animeranno i sogni e la vita del protagonista. Insomma, lo spettacolo visto in scena è un classico da tutti i punti di vista, fedele al testo originale grazie alla traduzione di Angelo Dallagiacoma e al lavoro di tutti: in tempi in cui non sono infrequenti rivisitazioni di dubbio valore artistico, non è cosa da poco.
Christian Auricchio
Christian Auricchio, Il malato immaginario, martelive, martemagazine, Milano, News, Paolo Bonacelli, teatro, Teatro Carcano