Impression d’aFreak
[TEATRO]
ROMA- Ogni lunedì alle 21 e fino a primavera inoltrata presso l’Atelier Meta-teatro si svolge una celebrazione laica, somministrata col carattere sovversivo e inaudito caro al sommo cerimoniere Pippo Di Marca, attore e autore dai lunghi trascorsi nelle avanguardie teatrali romane.
Appuntamento ogni volta unico e irripetibile, Impression d’aFreak si muove tra gli scarti che ogni volta distraggono dal canovaccio di partenza, un format a contenitori composto dai sette quadri lungo i quali si srotola e dis-articola la serata, nel materializzarsi comico della parola presa alla lettera. Un conduttore un po’ intronato (e perciò seduto sul trono), un decesso (sul cesso), un angolo della poesia (il poetry’s corner), una scaletta sulla quale leggere l’andazzo della serata e infine, più sacrilegamente di tutto il resto, a concludere l’irriverente canovaccio pseudo-liturgico, nella blasfemia canzonatoria d’ogni comunicazione possibile, una comunione con vino e ostia offerta prima del congedo finale.
Rituale cortocircuitante dalle ascendenze surreal-dadaiste, cadavere squisito partorito nei meandri necessariamente poco rasserenanti d’un teatrante alle prese con le malefatte del presente, nel rivoltarsi della cultura (quasi ormai dalla sua tomba di sovvenzioni statali estinte) e attraverso i più disparati ingredienti, dal cinema, cui è affidato l’introito/sprologo, (e qui abbiamo visto passare Antonioni, Signore e signori, Le iene tarantiniane, etc), alla lettura e decantazione scenica (Lautremont, Bolano, Gadda, Sanguineti, Cortazar, “Pezzi di lettera/dura”), al più allegro avanspettacolo, alla poesia (da Rimbaud a Petrarca), alla critica socio-politica (l’esilarante momento del “de cesso” ) e fino all’intervento d’ospiti di diversa natura e portata (tra i quali anche il nostro caro 7 Marco Settembre, cosmicomica guest star dai valori alterati, uova marce del presente trasfigurate in chiave fanta-trash).
Tra estroflessioni e intromissioni, Di Marca rovista nel linguaggio e nell’immaginario, funzionante come eclettico ready made (non a caso con una Théorie Du Champ tra le mani) dentro un foyer “sbiancato” dagli interventi scenografici di Luisa Taravella, passando con disinvoltura dall’escatologia alla scatologia, sondando con feroce nonsense la raccapricciante attualità dei giorni nostri malandati e contaminandola con quei pochi punti di riferimento e di sostegno che una certa non svenduta cultura riesce ancora a garantire.
Battello ebbro dalle dinamiche imprecisate, con sedie che seguono la corrente delle esplosioni lirico-demenziali dello spettacolo da un capo all’altro dello spazio scenico, qui si vola altrove e deragliatamente fuori dalla trama del raccontino prescritto, nel ritorcersi con tutta la mancanza di riverenza possibile nei confronti di chi, piuttosto che chi “artifica”, preferisce ancora chi mummifica.
Salvatore Insana
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