Carmine Arrivo: vivo un evento e lo racconto
Tutto preso a cercare di capire come le sue foto possano essere posizionate al meglio, ci era sfuggito durante la finale del MArteLive 2010, ma lo abbiamo incontrato in occasione della collettiva della XIV Edizione Premio Internazionale Massenzio Arte.
Assieme ad altri finalisti della sezione fotografia, Carmine Arrivo è stato selezionato per esporre nel prestigioso ISA Istituto Superiore Antincendi di via del Commercio a Roma fino al 20 novembre scorso.
Immediatamente disponibile per una chiacchierata, il fotografo napoletano ci sorride tra la folta barba.
Come sei arrivato alla partecipazione del concorso MArteLive da Milano, città in cui vivi?
Tramite il web. Nel 2007 mi sono messo a cercare dei concorsi che valorizzassero un progetto fotografico. Il grosso dei concorsi in materia non è così, valorizzano lo scatto. Io volevo puntare sulla sceneggiatura. Mi iscrissi nel 2008, e arrivai alla finale. La finale della Lombardia non si è svolta in sede, ma a Genova nel Forte Sperone, fortezza che domina Genova, presentai il progetto Monologhi di un sognatore, non ebbi l’accesso alla finale, e l’anno dopo ci ho riprovato con un nuovo progetto fotografico.
Ed hai vinto con la sequenza Dead Alone in The Park…. Parlaci di questo progetto.
Si tratta di un lavoro molto autobiografico, ma in fondo anche il precedente lo era. In Monologhi di un sognatore, io raccontavo della difficoltà delle persone a confrontarsi, gli scatti rappresentano persone sole. Avevo il desiderio forte di far qualcosa, di comunicare, e sentivo il peso della difficoltà nel farlo. Ed il concetto di solitudine torna nei miei lavori. Purtroppo, il progetto Dead Alone in The Park prende spunto da un evento accaduto veramente.
Si ferma, rallenta, quasi per non dire tutto, riprende dosando le parole (n.d.r) e riprende.
Nel giugno del 2009, io stavo lavorando ad un altro progetto, che ho terminato solo poco tempo fa, fui colpito da un omicidio accaduto a Monte Santo, vicino Piazza Dante a Napoli, un luogo che io frequento spesso. Fu una morte dovuta ad una spedizione punitiva che, magari voleva essere solo dimostrativa e che ha ucciso un ragazzo rumeno, un ragazzo che si è trascinato per la piazza mentre l’ospedale stava a pochi metri. Le immagini di questa tragedia furono postate su internet, i media fecero macello della città di Napoli.
Non entro nei particolari, non cito l’accaduto nello specifico, non voglio fare dello sciacallaggio. Nel mio progetto Dead Alone in The Park…, io ho cambiato tutto.
A parte la sensazione che ti portavi addosso per l’accaduto, cosa hai pensato di fare?
Sì, quella non potevo. Ma mi sono messo in discussione in prima persona. Lo scenario erano i parchi. Dei posti sereni , all’interno di contesti che possono sembrare degradati. Dopo una certa ora, questi luoghi sereni di giorni diventano off limits. Nei miei scatti parto dalla famiglia che vive il parco serenamente, però, man mano che si va avanti la tipologia di persone cambia, e arrivano gli emarginati.
Quale parco ha fatto da scenografia alle tuo foto?
Sono diversi: la villa Comunale di Napoli, la Fortezza d’Abbasso a Firenze, villa Pamphili a Roma.Nell’estate del 2009 ho inziato questo percorso nei parchi.
Cosa ti ha colpito in questi luoghi?
La gente stesa a terra nell’indifferenza. Come questi luoghi diventino terra di nessuno. In Inghilterra i lampioni sono numerati così si può indicare in quale luogo del parco ci si trovi. In Italia non è così, non puoi dare nessuna indicazione per richiedere aiuto, i lampioni sono numerati ma per cambiare le lampadine.
Anche A Berlino ci sono tanti punti S.O.S., qui, in Italia, non c’è la cultura della prevenzione.
Mi stupiva che la gente passasse e ripassasse e non chiamava mai nessuno di competenza. Io stesso ho fatto finta di star male e in due ore non si è avvicinato nessuno.
A quel punto?
Sapevo cosa fare. Dovevo solo riorganizzare le idee su come effettuare il lavoro. Ed in una foto ho scelto un manichino, rappresenta proprio l’essere umano che non esiste.
Anche la viratura in giallo è una scelta legata ad un’idea malinconica, quasi per non essere forzato nella denuncia?
Le foto non sono post prodotte, ho scattato con un filtro polarizzato. La foto deve essere costruita nella mente.
Tu hai fatto poesia con la sensazione che ti ha lasciato un evento che giustamente ha colpito la tua sensibilità.
Che possa essere artistico o no il mio lavoro, non sta a me dirlo, non posso definirlo arte o poesia. Io sono per creare situazioni. L’ho fatto da sempre con la fotografia.
Anche quando ho lavorato a Roma, ho vissuto a Roma per quattro anni, su un progetto fotografico dedicato a Corviale, Corviale Urban Lab, ho lavorato con quattro fotografi, di cui due finalisti al MArteLive 2010, Gabriele Anesin ed Enrico di Giamberardino (Anesin è arrivato quarto e Giamberardino nono, n.d.r.). In questo lavoro io instauravo un rapporto con chi viveva in quel posto, come ho instaurato un rapporto con i clochard del parco di Milano, ad esempio, del premio Massenzio Arte gli ho portato la brochure e gli ho fatto vedere le foto che avevo selezionato per il progetto.
Fai quello che ti senti di fare per vincere la tua e la loro solitudine?
Sì.
Oltre al tuo sito dove possiamo vedere i tuoi lavori?
Su Repubblica.it, è stato pubblicato il mio progetto: Su La Strada deI cammino di Santiago de Campostela (foto nello slide in Home Page N.d.R.). E dal vivo, la stessa mostra è anche a Roma fino all’11 dicembre, presso il Chico Cafè, Piazza Cuba 7, in zona Parioli.
Questo lavoro su Santiago di Campostella è reportage, quindi una storia con un altro linguaggio?
Io non voglio fare cronaca, ma sono per la notizia, non credo di aver raccontato in modo pratico qualcosa. Io ho vissuto; ecco io vivo un evento e lo racconto.
Rossana Calbi
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