La Bella e la Bestia: vedere col cuore
ROMA- Storia senza età, fra realtà e magia: uno sguardo e poi, anche se non vuoi, scopri l’armonia: è quella di Belle e del principe tramutato in Bestia, un capolavoro unico che è stato capace di far sognare intere generazioni di piccoli e grandi.
Approda a Roma “il musical dei record”, in un Teatro Brancaccio finalmente ristrutturato. E riesce finanche a commuovermi e a emozionarmi: lì, sulla mia seggiola, scopro i miei occhi inumidirsi, avverto un lungo brivido percorrere il mio corpo. Come un incantesimo che si spezza, come se si ridestasse in me la voglia di sognare ancora. Come quando ero bambino e confidavo ancora nell’happy ending.
Il film Disney del 1991, nonché primo film di animazione ad essere stato nominato agli Oscar come miglior film (Up, nel 2010, è stato il secondo caso), racconta la nota omonima fiaba scritta a metà del Settecento da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Il film, vincitore di due statuette per la colonna sonora di Alan Menken e per la canzone “Beauty and the Beast”, era già una garanzia per un musical memorabile: a Milano sono stati strappati 300mila biglietti in otto mesi di repliche. Ed i numeri romani auspicano la conferma del successo meneghino: 8 repliche a settimana, un costo produttivo di 5 milioni di euro, 33 artisti del cast, oltre 8 bambini, 263 mq di palco e 210 di backstage, 10 scenografie per 34 cambi di scena (uno ogni 7 minuti).
All’anteprima capitolina del 19 Ottobre ero anche io in sala, tra ansia ed emozione. In attesa dell’inizio dello spettacolo, ricordavo quando anni fa i personaggi incantati del film accompagnavano molti miei pomeriggi casalinghi. E si insinuava in me la coscienza che tale affezione preadolescenziale avrebbe provocato un duplice problema nella critica oggettiva dello spettacolo musical-teatrale: da un lato la quasi certezza che la storia mi avrebbe appassionato come allora, dall’altro un eccesso di aspettative ed un confronto (arduo da reggersi) costante con il film. Ricordate ciò nel prosieguo di questa lettura.
La storia è nota: una vecchia donna giunge al cospetto di un bellissimo principe per chiedergli aiuto, ma lui, spaventato dal suo orrendo aspetto, la scaccia malamente. In realtà l’anziana signora era una bellissima fata, e decise di punire il cuore algido del principe tramutando lui in Bestia (Antonello Angiolillo) e tutta la sua servitù in oggetti. L’incantesimo sarebbe stato rotto ad una doppia condizione: il mostro avrebbe dovuto amare ed essere ricambiato dello stesso amore. E gli anni passarono: poi un dì alcune circostanze familiari portano la bellissima Belle (Arianna Bergamaschi) in quel castello. Lei, eterna sognatrice, corteggiata dall’impavido e bellimbusto Gaston, si offre come prigioniera per salvare il padre. Ma nel castello delle meraviglie “uno sguardo e poi, anche se non vuoi, scopri l’armonia”… Una corsa contro il tempo per la servitù per non perdere la propria umanità, un amore che supera le differenze e gli stereotipi fisici e culturali.
Trama semplice, dove i buoni diventano cattivi ed i cattivi buoni. Una sottile linea di demarcazione tra odio e amore, dolce e amaro, chiaro e scuro. Ed una storia che si dipana tra paese e castello, tra sentimenti non ricambiati ed altri che potrebbero sorgere. Fantasie che incantano, desideri fiabeschi, la voglia di fuggire da una grigia monotonia e rifugiarsi in un amore sospeso tra sogno e realtà. Scappare da sé stessi, rinascere, senza pregiudizi o clichè di sorta. Come nelle favole, per l’appunto. Il musical ripropone quindi la sceneggiatura del film con piccoli accorgimenti e semplificazioni.
L’impianto visivo è imponente, sorprendente, colossale, come non è mai avvenuto in Italia (almeno a mia memoria), ancora troppo lontana dagli investimenti cultural- teatrali di Broadway. Costumi dettagliatissimi, perfetti, su di un palco che si muove e prende vita senza che lo spettatore se ne renda conto. Luci certosine, effetti sonori e speciali, scalinate che compaiono dal nulla e cambi di scena mai netti e sempre perfettamente oleati, come in una perfetta macchina taylorista. Un cast affiatato e davvero preparato, tra cui spiccano le sorprendenti e divertenti interpretazioni di Lumière (Emiliano Geppetti) e Gaston (Andrea Croci). Infine le splendide liriche originali di Howard Ashman e Tim Rice e i testi di Linda Woolverton, tradotti in italiano da Franco Travaglio. Il tutto coordinato dall’attenta regia di Glenn Casale.
Lo spettacolo è entusiasmante, coinvolgente, caldo, fantastico, capace di proiettarti in una “realtà onirica” in cui davvero le differenze sono ricchezza e non motivo di divisione, in cui ciò che conta è la forza dell’amore e non quella di convenzioni sociali e ancoraggi fisico-mentali. Ma ci sono, a mio avviso, dei piccoli nèi, minime defaillance che lasciano perplessi. Innanzitutto non si scorge il defluir del tempo, come se l’amore sbocciasse in una notte o poco più. Inoltre la Belle del musical appare un po’ superficiale, ben diversa da quella malinconica e timida del film d’animazione. Un po’ di amaro anche per i testi di qualche canzone, in special modo la principale, divenuta un po’ troppo diversa (anche nel senso) dalla versione italiana Disney. Qualche nota non perfettamente raggiunta nell’esecuzione canora, forse (e spero) causa emozione. E poi qualcuno mi spieghi perché il pendolo Tockins è stato rinonimato “Din Don”: raccapricciante! Inezie, minuzie, lo so: dettagli più che trascurabili, che vanno considerati come brevi riflessioni scritte di getto da chi ha esordito confessando la sua implosione emozionale.
E terminare lo spettacolo sentendosi piccoli tra i piccoli, con un volto che risplende luce nuova, anche se per per pochi minuti, non ha prezzo. Allora credevo che le favole potessero esistere, che le principesse fossero tutte splendide ed aggraziate, che bastasse un pizzico di fantasia per colorare la mia vita. E quella degli altri. Al di là delle apparenze, dei pregiudizi, delle malignità diffuse. La vita come un sogno, come in una dolcissima storia senza età, fra realtà e magia…
Francesco Salvatore Cagnazzo
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