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Il sogno di Nolan

Alessia_Grassoi
[CINEMACITTA’]

Alessia_GrassoiStai aspettando un treno, un treno che ti porterà molto lontano. Sai dove speri che questo treno ti porti, ma non puoi averne la certezza e non ha importanza, perchè saremo insieme.” Era il 2000, quando il pubblico americano impazzì letteralmente per una pellicola misteriosa, dagli inaspettati risvolti, che vedeva come protagonista un uomo (Guy Pearce) ricolmo di tatuaggi: “ricorda Sammy Jankis” recitava una scritta vicina al polso, che avrebbe in seguito determinato l’intera vicenda percorsa a ritroso.

Il film era Memento e il nostro “raccontastorie” Christopher Nolan: come un eterno labirinto, le storie di Nolan, ci conducono spesso nel profondo della mente umana, tra amori perduti, quesiti inaccessibili e scelte non sempre pulite. Ad oggi, Nolan, può vantare un successo determinato da sole sei pellicole, tra cui la magia di The Prestigi e le vicende del super eroe Barman (imminente il suo terzo episodio), che ha rivoluzionato, in buona parte, l’immagine passata dell’uomo pipistrello ancora legata alla visione favolistica di Burton, sfornando un nuovo Joker scolpito ormai nella leggenda (compresa la triste scomparsa del suo interprete, Heath Ledger).
Nel 2010, arriva nelle nostre sale Inception, opera tra il thriller e il fantascientifico che gioca sul potere dell’onirico e della realtà.
In occasione dell’uscita Italiana, degna di nota, è stata l’iniziativa svoltasi al CineCitè del centro commerciale Porte di Roma, che in questo periodo sta dando il via ad una serie di maratone dedicate al grande cinema: nell’evento Week end senza sonno, svoltosi dal 17 al 19 Settembre, sono state presentate pellicole come Memento, Insomnia, The Prestige, Batman Begins e Il cavaliere Oscuro, dando il benvenuto ai primi 20 minuti (in originale) di Inception, che ci hanno fatto addentrare con una stremante attesa, nell’ultima meraviglia di Nolan.

Domm Cobb (Leonardo di Caprio), estrattore per professione, è il migliore nel suo campo. Insieme al suo fidato collaboratore Arthur (Joseph Gordon-Levitt), penetra nei sogni delle sue vittime, per estirparne i segreti più profondi. Misteriosamente impossibilitato nel tornare a casa negli Stati Uniti, Cobb si dimostrerà interessato dalla proposta del potente uomo di affari Saito (Ken Watanabe): il suo ritorno a casa sarà determinato da un impianto elaborato nei confronti di Robert Fischer (Cillian Murphy), erede di un grande impero economico. Cobb, così, inizierà a mettere insieme quello che sarà il suo team per l’ultimo colpo della sua vita.

Una delle tante cose che si possono amare nel cinema di Nolan, è l’uso amplificato dell’attore “feticcio” che qui, non a caso, si estende all’intero “cast”. Figure come Ken Watanabe, Cillian Murphy o lo stesso, amatissimo, Michael Caine (in questo caso presente nella parte del padre di Cobb), ci risultano volti familiari, assimilati, piacevolmente rivisti, per noi che seguiamo costantemente il percorso di Nolan.
Come una grande combriccola, riunita, ci affidiamo alla certezza di sensazioni già vissute, totalmente positive e che, di certo, non possono lasciarci con l’amaro in bocca. Emozioni che tornano, come sempre a condurci, nel fattore scatenante delle vicende costruite da Nolan: l’amore. Visibile, doloroso e spaventoso, l’amore viaggia nelle sue opere più famose, macchiando il protagonista maschile di una felicità rubata, ormai lontana: la paura netta di perdere chi si ama, come massima oscurità dell’animo del regista, divenendo un riflesso del tutto accecante.
Ed è così che Inception, al di là di ogni difetto, come alcune incongruenze della mancanza di gravità (memorabile sequenza, ormai cult, del combattimento senza gravità da parte di Arthur) o la vera funzionalità di uscita del limbo, riesca comunque ad incantarci fino alla fine come un trucco di prestigio ben fatto. Perchè la perfezione estetica, fredda e schematica, che spesso blocca certe emozioni lì a poco dal nascere, fa solo da contenitore alla vera magia di Inception: si sfilaccia, come un tessuto corposo, rivelandoci le sue innumerevoli sfaccettature.
Non si parla solo di citazioni come la scala di Penrose dell’Olandese Escher usate più volte dal personaggio di Gordon-Levitt, o del riferimento preso da Arianna (Ellen Page), architetto del gruppo, riguardante la mitologia di Teseo e il Labirinto di Cnosso, ma anche del simbolismo definitivo che il film acquista nella sua conclusione.
Nolan gioca con la sua arte, contro di noi, chiedendoci comunque “un atto di fede” che possa convincerci che, lontano da totem rotanti e sfide impossibili da superare, ci sia la semplice quanto liberatoria nozione della “scelta”. Quella di lasciarsi tutto alle spalle, di uccidere il proprio fantasma e di accettare il dilemma, il dubbio, che ci sia ancora un altro livello del sogno dalla quale uscire, soltanto per quell’amore che può davvero renderci liberi.
Michael Cane recitava in The Prestige: “ora voi state cercando il segreto, ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati”, ed è bello, affascinante, un sollievo, che Nolan per l’ennesima volta sia riuscito a creare il “prestigio”.

Alessia Grasso

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