MUSICA EMERGENTE finalissima_ Indovina chi viene in…finale!
L’Alpheus è gremito, la fila per entrare è lunga e una volta dentro la calca rischia di risucchiarti, la gente si muove lentamente, paziente fa la fila al bar per una birra e poi sceglie una delle sale, ci si infila dentro e scopre qualcosa di nuovo, scopre l’arte in tutte le sue forme e probabilmente, ora più che mai capisce perchè questo megaevento si chiami MArteLive.
I tre giorni di finalissime, il 9, 10 e 11 settembre a Roma, sono soltanto la punta dell’iceberg di un anno di selezioni e performances che hanno coinvolto tutta l’Italia ed è qui che si è concentrato tutto il fermento artistico espresso in molteplici forme tra cui l’immancabile musica.
Tra gli emergenti arrivati in finale da tutte le regioni italiane, giovedì 9 settembre, si sono distinti i pugliesi The People Speak, che hanno proposto un repertorio molto inglese glam anni ’80 in chiave moderna, arrangiato con chitarra, basso, batteria, voce e soprattutto sintetizzatore che ha dato vita a sonorità dal gusto elektro-dub, ma perfettamente inserito nell’atmosfera rock senza snaturarla. La commistione dell’elemento acustico inteso come suonato e quello elettronico è perfettamente riuscita e ancora una volta si è avuta la conferma che la Puglia è la California d’Italia per il fermento e l’innovazione musicale che circola di questi tempi.
Massaroni Pianoforti, salito sul palco dopo questo gruppo, è un artista minimale che vuole cantare di sé e delle sue esperienze, perlopiù disperate o cantate in modo da sembrare tali, accompagnandosi con la chitarra acustica, a tratti distorta per darle quel po’ di aggressività in più. Un cantastorie moderno che rientra tra le figure attuali del cantautore italiano, con quella punta di romanticismo triste e arrabbiato che forse lo distingue un po’ dagli altri, un modo di fare del rock sottovoce.
Puro stile reggae con dreadlocks e cappelli, con repertorio misto italiano-inglese di ska-reggaeton e reggae poi per le Bloomy Roots, che con tanto di tromba e sax, ci catapultano in un mondo colorato e leggero dove però non manca la critica sociale costruttiva e il ritmo coinvolgente.
I pescaresi Travellers ci hanno tirato su il morale coinvolgendo il pubblico tra il groove un po’ rasta un po’ blues, e il modo di cantare tra il rap e il melodico, e sfoggiando, oltre al cantante vero e proprio, un intrattenitore- aizzatore di folla e un percussionista che non permetteva davvero di star fermi. Per chiudere il cerchio i San La Muerte ci hanno riportato in Inghilterra con le loro canzoni e portamento indie rock di buon livello, le chitarre sapienti e distorte si sono distinte tra arpeggi e soletti, mentre il cantante, con quell’aria malandata, ma evidentemente voluta e un po’ strafottente ha saputo divertire il pubblico che oltre ad ascoltare vuole vedere sul palco un po’ di scena, e questi ragazzi romani sanno come farla.
Venerdì 10 settembre, ad aprire la serata i Mamma Cannibale da Potenza: rock ben suonato, onirico, veramente molto ben supportato strumentalmente e tecnicamente, ma anche piuttosto alternativo, con sfumature synth interessanti anche se non particolarmente innovative.
Secondo, ma piuttosto restio a lasciare il palco, Spooky Man, al secolo Giulio Allegretti. In questa seconda apparizione all’Alpheus, dopo le selezioni di maggio, si presenta nella sua versione eclettica di One Man Show molto più country che soul, ma dentro resta bluesman vecchio stampo, con chitarra e banjo, e tutta una serie di strumentazioni fatte in casa.
Pubblico scatenatissmo con il country funk degli Inbred Knucklehead: energici, creativi e originali, ben dotati strumentalmente con la loro misticanza di generi passano dal country al surf, dal punk al death-core in con energia e fantasia.
E’ stata poi la volta de Le Hibou. Calabresi D.O.C. il loro punto di forza è lo stile di composizione un po’ fuori dagli schemi tradizionali. Aperti alle influenze più diverse, il loro rock onirico, elettronico, quasi strumentale (la musica svolge il ruolo fondamentale del loro progetto) e spinto ha la forza e la verve che serve per attrarre in maniera prepotente all’ascolto.
Infine, Vowland dalla vicina Firenze presentano un progetto rock indie tradizionale. Sound graffiante, melodicamente accattivante, anglofono q.b. in linea con i prodotti del nuovo panorama internazionale. Testi in inglese volutamente provocatori accompagnano le sferzate elettriche delle chitarre e condiscono di buono la verve del gruppo.
Un po’ più particolare la serata di sabato 11 settembre, infatti i finalisti che si sono esibiti sono stati incredibilmente variegati e diversi gli uni dagli altri. Il primo a salire sul palco è stato Io Sono Un Cane, che evidentemente già dal nome scelto intende fare dell’auto ironia e ci trasporta in concetti non sempre chiari, ma che probabilmente intendono ironizzare sul mondo di oggi. One man show, l’artista si è presentato con delle registrazioni e dei loop che ha maneggiato attraverso strumentazione elettronica-sintetica, mandando spezzoni di discorsi, alcuni ritmi martellanti, cantando a volte e mandando in loop la sua stessa voce recitante. Un artista senza dubbio che lascia il segno, ma forse che non riesce ancora ad esprimersi appieno. Da un artista fuori dal comunie ad un gruppo che rientra esattamente nei canoni della musica leggera italiana, L’Ultima Mezz’ora, cantano canzoni melodiche italiane, dal gusto vintage e dai testi romantici, interpretati dal cantante che sfoggia una bella estensione vocale e che ci tiene a precisare il fatto che i suoi testi siano autobiografici in modo da coinvolgere ed emozionare un pubblico spesso abituato ad ascoltare qualcosa sopra le righe, ma che può rivalutare ed apprezzare un genere così spiccatamente nostrano e di facile ascolto. Sempre nostrani, ma decisamente più cattivi i Sula Ventrbianco reinterpretano la tradizione popolare campana, mescolandola al duro rock, quasi nu metal, infatti questi ragazzi propongono pezzi in italiano e spesso in dialetto napoletano, che suonano incredibilmente internazionali, il cantante chitarrista scuote la chioma rossa riccioluta, mentre gli altri rocckeggiano e folleggiano sul palco a ritmo di una batteria potente e presente che arriva dritta come un pugno nello stomaco a colpire i presenti. Aggressivi, ma mai troppo, accompagnati da un violino elettrico che da un tocca ancora più particolare ad alcuni pezzi, i Sula fanno sentire la loro voce e la loro musica e se volevano impressionare ci sono riusciti.
I palermitani DUIN, dopo di loro, interpretano il sud Italia con un’altra chiave di lettura, infatti sono tanti sul palco, non hanno il batterista, ma il percussionista, la cantante suona la chitarra classica e canta in dialetto siciliano di fate, elfi e storie fantastiche, mentre la violinista e il tastierista creano l’atmosfera un po’ gitana un po’ folk che mescola varie influenze in modo a volte gioioso a volte confusionario e festaiolo, dall’andamento ammiccante e vivace.
Gli Hollysocks chiudono la serata portando una testimonianza piemontese del rock anglosassone mescolato ai synth, oltre a due chitarre d’eccezione come la Fender jaguar, e la loro giovane giovanissima età, che forse impressiona più del resto. Infatti questi skinny boys sono mingherlini non solo perchè sono magri e indossano jeans stretti a vita bassa, ma perchè andranno a amlapena al liceo però sul palco sanno il fatto loro e probabilmente passano molte delle loro ore pomeridiane a studiare e suo are il loro strumento con quella passione e quell’umiltà tipica degli adolescenti appena entrati in questa fase.
Mondi musicali diversi che si intrecciano e si succedono sul palco del MArteLive che scopre e riconosce quegli artisti con un talento e una passione autentica che di certo non chiamerebbero mai “Fattore X”.
Mikaela Dema, Edyth Cristofaro
Edyth Cristofaro, martelive, martelive 2010, martemagazine, Mikaela Dema, musica, settembre 2010