Classe e precisione: Keith Jarrett Trio
[MUSICA]
ROMA- Conosciamo tutti le storie legate alla figura un po’ burbera di Keith Jarrett, per questo motivo, prima di avviarci, lo scorso 18 luglio, verso l’Auditorium di Roma, bisogna espletare i riti necessari per assistere al live del pianista statunitense: sciroppo per la tosse, telefonino spento, macchina fotografica conservata nell’armadio e astinenza forzata dal tabacco.
La sala Santa Cecilia stasera ha un’atmosfera surreale, il livello di compostezza del pubblico rasenta l’incredibile e quando viene annunciato che, secondo precisa richiesta della band, sono severamente vietate foto, anche gli ultimi distratti si apprestano a disattivare qualsiasi strumento tecnologico portato con se (forse non conoscevano il decalogo del perfetto spettatore di Jarrett).
Con soli cinque minuti di ritardo il trio fa il suo ingresso sul palco. Insieme a Jarrett due mostri sacri del free jazz, il contrabbassista Gary Peacock e il batterista Jack DeJohnette, che da anni lo accompagnano nel progetto “Trio Standards”.
Il live sarà diviso in due sessioni di circa quaranta minuti con una pausa di venti. La prima parte è dedicata al repertorio più classico e free del progetto e l’esecuzione, forse, delude un po’ gli “aficionados” di Jarrett. I due interminabili brani iniziali non convincono a sufficienza e sembra che il pubblico sia crollato in uno stato di torpore misto ad impazienza. E’ come se tutti aspettassero da un momento all’altro una melodia, che non è mai arrivata.
Al contrario DeJohnette non delude le aspettative e il suo tocco risuona leggero e preciso, nei primi quaranta minuti è sicuramente lui il re del palcoscenico.
Dopo la pausa, in cui sempre la stessa voce aggiunge un piccolo particolare alle avvertenze iniziali (“è vietato fare foto anche durante i saluti pena nessun bis”), si materializza davanti ai nostri occhi un altro Jarrett. Durante la seconda parte del live ritroviamo la musica eseguita con classe e precisione. Jarrett suona anche con il corpo e la sezione ritmica lo segue con sinuosi fraseggi. Il pubblico decide di correre il rischio di infastidire il pianista e accompagna ogni dialogo con scroscianti applausi.
Due lunghi encore ci fanno intuire che gli applausi hanno sortito l’effetto sperato. Ciliegina sulla torta “Straight, no chaser” di Thelonious Monk, un classico del repertorio jazzistico, cover intima e meravigliosa. I tre sorridono, ringraziano e si congedano e per noi non rimane che sussurrare: è andato tutto bene!
Paola D’Angelo
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