L’(in)solita favola: Romeo e Giulietta
[DANZA]
ROMA- Quando uno spettacolo così drammaturgicamente perfetto, poeticamente paradisiaco e tematicamente potente è in scena da mesi, tutto ciò che si può dire risulta vecchio, stantio e giornalisticamente datato. Quindi altro non si può fare che dare un giudizio personale e un commento finale.
Sottolineo interessante l’idea, in questa messa in scena al Teatro Quirino, di partire dal finale. Gioco di parole per evidenziare la scelta di “uccidere” subito i due giovani e famosi amanti, palesando l’esito di questa tragedia che mai stanca, raccontando il resto della storia come una sorta di immenso flashback, in cui si pone più attenzione ai ballerini e alla loro interpretazione per un pubblico non più distratto dall’ansia dell’”ignoto” finale.
Il dilemma nella decisione della messa in scena di un classico come Romeo e Giulietta, segue due strade: riproporre lo spettacolo fedelmente o proporre una propria versione rivisitata, modificata e corretta.
Entrambe hanno pro e contro, ma si può concordare che la versione di Giorgio Madia, coreografo di questa mise en scene, ha centrato pienamente l’intenzione di proporre una interpretazione ironica, coreograficamente evidente nella scena della festa in casa Capuleti, fresca, innovativa, cortese, delicata e dalla mancanza di eccessiva plastica staticità delle pose.
Chi ricorda l’Amleto con Carla Fracci nel ruolo maschile del principe danese (performance ingiustamente criticata in quando il pubblico si aspettava la “classica” interpretazione fracciana, ma la reale intenzione era rendere omaggio a Isadora Duncan che con il balletto classico poco aveva a che fare) al Teatro Nazionale a Roma, non potrà fare a meno di notare come la danza classica stia subendo variazioni dalla plasticità a cui il pubblico è sempre stato abituato. Il corpo racconta e non è esclusivamente autocelebrativo, si pone infatti attenzione e spazio all’interpretazione, privando sempre più le ballerine di ingombranti tulle, punte, atti a mostrare unicamente la loro forza, agilità e possenza fisica in un circolare serpente che si morde la coda.
Da evidenziare, alla visione dei ballerini, la loro giovane età, che brilla di eccellenza artistica e professionale, da Teresa Molino (Giulietta), a Martin Zanotti (Romeo), al giovane ventenne della Compagnia Federico Veratti.
Il pubblico “entra” nel mondo shakespeariano attraverso una sorta di riflessi d’acqua proiettati sul sipario di tulle che allargandosi sempre più travolge gli spettatori coinvolgendoli completamente nel corpo e nella mente.
Le uniche scenografie sono semitrasparenti tessuti che aprendosi e chiudendosi coerentemente con i cambi scena e quasi come degli intrusi, ora dividono, ora uniscono i due amanti shakespeariani. All’originalità del balcone/altalena da cui i due amanti gridano l’amore danzante un difetto appesantisce l’atmosfera: il tatuaggio di Martin Zanotti/Romeo che precipita lo spettatore dalla paradisiaca Verona al triste stato contemporaneo in cui l’umanità versa oggigiorno.
La selezione delle musiche da parte del M° Michele Rovetta, musicista e direttore d’orchestra alla Staatsoper di Berlino ha rappresentato un momento di unione fra il coreografo e il musicista intenti a proporre le tre versioni del Romeo e Giulietta di Ciajkovskij, di cui solo una celebre fra i non addetti ai lavori.
Ancora una volta Shakespeare può, a mio avviso, continuare a riposare, la sua memoria è stata rispettata.
Emanuele Truffa Giachet
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