GRAFICA V_ Il crepuscolo della codifica
Proseguono gli appuntamenti grafici del MArteLive all’insegna dell’inganno delle apparenze. Protagonisti di questa settimana sono gli antichi simboli, che assumono vita propria rispetto ai loro riferimenti sul piano reale, a volte distanziandosi da essi, a volte immergendosene completamente.
Come per l’opera di Santi Urso, fotografia modificata al photoshop in cui il gioco della morra cinese trascende la sua natura simbolica per avere conseguenze sulla realtà: le dita a forbice tagliano realmente, il palmo aperto della carta è strappato sulle ultime dita. Un po’ come nel film Jumanji, il gioco smette di essere simulazione, e la fantasia bandisce logica e valori oggettivi.
Oggettività che si perde anche nel lavoro di Cristina Mezzenga, in un complesso gioco di scatole cinesi, dove una donna senza volto regge un quadro sul quale figura un’altra donna senza volto, che a sua volta sembra reggere un’altro quadro, fuori dal campo dell’inquadratura. Le due donne, vestite uguali, sono fisicamente all’opposto, come in un gioco di specchi deformanti. L’opera è rielaborata al photoshop.
Il concetto di valore e simboli viene totalmente sovvertito da Barbara Caldarone, che con un elaborazione in vettoriale decontestualizza codici a barre e scrittura in braille, componendo il messaggio in finto rilievo: “Quando tutto è arte, niente è arte“. Il finto rilievo impedisce al non vedente di poter leggere il messaggio, così come il vedente che non conosce il braille potrebbe interpretare quei simboli come delle semplici fantasie grafiche.
L’interpretazione è quindi nelle mani di chi conosce questo linguaggio pur non essendo cieco. Il tutto probabilmente a dimostrare che la comprensione estetica si può ottenere solo tramite la fusione di una componente superficiale (la vista, spesso ingannata dalle apparenze) e di una componente più profonda e
culturale (in questo caso rappresentata dalla conoscenza del braille).
Simboli che decadono anche per Michele Guidarini, che ci offre un’opera carica di icone e frasi dal senso ormai vuoto. “La vita è meravigliosa” è il motto che campeggia su un’immagine disegnata e rielaborata in digitale: croci sui lati, e un effetto di illuminazione a simmetria centrale, a metà strada tra la raggiera delle bandiere nipponiche antiche e l’auree santificate dei quadri rinascimentali. Al centro dell’opera, un volto disegnato, diviso tra una realtà fatta di buonismi apparenti e una verità cupa e nascosta del nostro emisfero
destro, come un foruncolo malato sul nostro volto che proprio non riusciamo a celare tra creme e frasi fatte.
Cupe realtà come quelle che ci offre Ludovica Bastianini, che su un’immagine a sfondo rosa ci mostra una bambina senza volto. All’innocenza dei tratti somatici di un’infante, vengono invece imposti i duri segni di una partita a tris. Il disegno interrotto perde ogni valore iconico, rivelandosi nella sua reale natura di scarabocchio. Ma tuttavia non possiamo non vedere che la bambina c’è, pur nella sua incompletezza.
Un concetto, quello dell’illusione ottica, che James Barranger impone con una delle più popolari icone degli ultimi 35 anni. All’apparenza del rude soldato imperiale di Star Wars si contrappone l’idea della mummia, rappresentata a sua volta dalla decorazione sul “casco”: un cuore con scritto “mummy”, quasi a ledere l’aspetto senz’anima e privo di personalità che questi soldati hanno sempre avuto in sei lungometraggi di fantascienza.
Giampiero Amodeo
25 maggio, Barbara Caldarone, Cristina Mezzenga, Giampiero Amodeo, grafica, James Barranger, Ludovica Bastiarini, martelive 2010, martemagazine, MIchele Guidarini, Santi Urso