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Ravenna Nightmare Film Festival 2009 – 7°edizione

Alessia_Grassoi
[CINEMACITTA’]

Alessia_GrassoiPresso il cinema City di Ravenna si è tenuta la 7° edizione del Ravenna Nightmare Film Festival, uno dei più importanti festival d’Italia dedicato al cinema horror e ai suoi sottogeneri. Questa nuova edizione del festival ha visto in anteprima nazionale tredici film pescati da ogni parte del mondo, di cui però solo dieci in concorso.

Il festival si è aperto lo scorso 27 ottobre con due pellicole, una dagli USA e l’altra dall’Indonesia. Il primo è un omaggio al genere di fantascienza degli  anni 50, Alien Trepass di R.W Goodwin, (regista e produttore di molte puntate di X – Files), dove un extraterrestre arrivando sulla terra, perde il mostro che portava con sè nella navicella e per riuscire a catturarlo prima che distrugga la razza umana, entra in possesso del corpo di un certo professor Ted Lewis. Un film simpatico che però cade spesso nel ridicolo.

Dall’Indonesia c’è Macabre dei Mo brothers, un crossover sulla scia della new wave dell’horroreve-ravenna-nightmare-film-festival occidentale che si rifà allo slasher anni 70-80 mescolato alla ghost – story asiatica. Un gruppo di amici  tornando dall’aeroporto soccorrono una ragazza in evidente stato confusionale, decidono così di riaccompagnarla a casa dove la mamma della giovane riserva al gruppo un’accoglienza molto più che macabra. Il plot non è del tutto originale, ma almeno non ci si annoia.

Mercoledì 28 ottobre approdano in sala due pellicole tra le più attese, Stoic,dell’ormai amato e odiato Uwe Boll e Dark House di Darin Scott. Iniziamo proprio dal film di Scott (sceneggiatore nell’87 del film in quattro episodi Il villaggio delle streghe): una casa testimone trent’anni prima di una strage, viene adibita ad una sorta di videogioco interattivo fatto di strani ologrammi, ma ad un certo punto il sistema va completamente in tilt sprigionando così il male racchiuso nell’abitazione. Un filmetto che vacilla tra I tredici spettri e Stay alive, con più pretese e meno trovate originali.
Uwe Boll il controversissimo regista tedesco, sforna un filmetto niente male, Stoic, alla faccia di tutta la “gentry” che gli ha sempre dato contro. Un tizio si impacca nella cella del carcere dove è detenuto e  attraverso i suoi compagni si ricostruiscono gli eventi che lo hanno portato alla morte facendo così emergere una brutale verità. Uno dei pochi lavori seri e ben fatti della sua carriera.

Giovedì 29 è il giorno di Descent 2 diretto dal montatore del primo Descent, Jon Harris. Due poliziotti prelevano Sarah Carter (superstite al massacro della prima pellicola), dall’ospedale dove è ricoverata per riportarla nelle caverne dove sono morte le sue amiche. Accompagnati da altri 4 speleologi intraprendono la ricerca delle ragazze, imbattendosi però con i padroni di casa molto più affamati di prima.

Un sequel deludente, totalmente assurdo, ma soprattutto inutile, personaggi riesumati a caso (Juno è riuscita a sopravvivere tre giorni in una caverna popolata da mostri con una picconata su una gamba), sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e costruzione drammatica imbarazzante (Sarah e Juno tornano magicamente amiche per lottare di nuovo insieme contro l’orda antropofaga).
Si prosegue con la pellicola australiana Coffin Rock di Rupert Glasson. Jess è sposata, ma il suo rapporto è in declino per via di un figlio che non riesce ad avere. Una sera dopo aver preso una sbronza, finisce per fare sesso con il giovane Evan, un ragazzo che da quel momento comincia a perseguitarla divenendo per  Jess un’allucinante ossessione.
Un  discreto thriller velato di horror sulla falsa riga di Cape Fear. Prendete Inserzione pericolosa di Barbet Schroeder, ponetelo dal punto di vista di un uomo e aggiungetegli la fotografia di Wolf Creek, detto così sembrerebbe fantastico, ma purtroppo la tensione dei primi 40 minuti non regge tutto il resto del film. Molte le cose non chiare sulle evoluzioni e le azioni dei personaggi e l’ happy ending arriva come un sasso su di un castello di carte.

Venerdì 30 si apre con due repliche per poi lasciare spazio a White Lightnin, pellicola inglese di Dominic Murphy. Jesco White fin dall’ età di sette anni comincia a sniffare qualunque cosa, passando per l’eroina e finendo spesso in carcere. Il padre di Jesco, noto danzatore di “mountain dancing” , finisce ammazzato. Jesco, affetto da gravi disturbi della personalità, dopo aver intrapreso la carriera del padre, decide di vendicarlo.
Un desaturato B/N fa da sfondo a questa piccola, perla narrata quasi interamente in voice – off da Jesko,  interpretato magistralmente da Hedward Hogg. Una buona miscela di caratteri che va dall’immaginario letterario di Joe Lansdale a quello “sapiente” di Irvine Welsh con una cognizione di causa molto affine ad un D.Lynch di Eraserhead. Sicuramente il più originale del festival.
Si chiude la serata di venerdì con il film vincitore della menzione speciale Life and Dath of a Porno Gang di Mladen Djordjevic. Un tizio che voleva fare del cinema d’autore si ritrova nel giro del  porno per arrivare in fine  a quello dello snuff – movie. Un opera scialba e priva di qualsiasi forma estetica, banale la storia (anche se elogiato), brutta la regia e attori pessimi, una noia totale.

L’ultimo giorno del festival si apre con una horror/commedy, Must Love Death del giovane Andreas Schapp. Norman vorrebbe uccidersi per una delusione d’amore, ma non avendo il coraggio si raduna con altri tre estranei aspiranti suicidi in uno chalet. I tizi però si riveleranno essere dei sadici torturatori che con la scusa del suicidio di gruppo, pescano le loro vittime. Una commedia rosa tinta di gore che vorrebbe far divertire risultando banale e scontata parecchie volte. Miriadi di citazioni e a sorpresa un cameo di Jorg Buttgereit, apprezzabile.
Si prosegue con il vincitore del festival, Tom Six, che con il suo The Human Centipede, unisce giuria e pubblico. Due ragazze si recano in Germania e finiscono nelle mani di un “mad doctor” che ha la fissa di realizzare un millepiedi umano e tenerlo come animale domestico. Lontano da ogni malignità il film non è nulla di che, solita ridondante storiella di turisti in mano a scienziati o in questo caso dottori pazzi, simpatico il fine del Dottor Heiter, ma nel complesso non meritava di certo una premiazione.
Il capolavoro indiscusso del festival però è stato sicuramente Deliver us from Evil, rape – revenge danese dalle tinte fortissime. Il regista Ole Bornedal presenta un lavoro formidabile sotto tutti i punti di vista: dall’interpretazione alla regia, ma soprattutto una sceneggiatura solida dai dialoghi serratissimi. Un’opera perfetta che di certo non passerà inosservata.

Tiziano Martella

 

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