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Crocodiles

C2_DiSanto
[MUSICA]

C2_DiSantoROMA- Astri nascenti della musica internazionale? Sicuramente una stella cadente, di quelle passeggere, quella che il 29 ottobre, è passata, sotto il nome di Crocodiles, sul palco del Circolo degli Artisti. Lo chiamano anche buzz marketing, quel fenomeno sociale che dalla rete riesce a generare strane creature. E che, tra tanti geni, riesce talvolta a creare dei veri e propri mostri, soprattutto nelle menti dei giovani musicofili alla ricerca di nuovi idoli a cui ispirarsi.

Quelli osannati così tanto dalle case discografiche, che senza volerlo qualcuno ci finisce in quello strano vortice di voci, e alla fine ci si crede, involontariamente. Nascono e si sviluppano nel web, allora, gruppi come i Crocodiles – che prendono il nome dalla title track dell’omoniomo album degli Echo & The Bunnymen. Le influenze? Japadroids, No Age (i propagatori del buzz) e – come non esserlo? – Velvet Underground. Il post-punk di Brandon Welchez, voce e raccapricciante contorsionista da palco, e Charles Rowell, alle corde elettriche, è eccessivamente sopravvalutato, accostato a quello dei Jesus and Mary Chain, ma anche avvalorato da gruppi come gli Horrors che se li porteranno a spasso in tour negli USA da Settembre.

Sul palco del Circolo degli Artisti sono stati davvero una meteora. Il noise-duo di San Diego è C3_DiSantoarrivato facendosi spazio sonoro tra distorsioni, una batteria secca e monotona, lasciando la maggior parte del palco all’eccentricità del chitarrista, che preso tra i vari pedali, sembrava anche decisamente il più emozionato. Si va avanti – ma per poco – tra urla concitate del vocalist, canzoni di cui andrebbero tanto fieri quelli di Brand New su Mtv, exercise de stile del giovane Rowell e ancora sputi e schiamazzi. Fino alle terza canzone, più o meno, poi c’è la pausa. Sì, la pausa. Il ritorno li vede più attivi che mai, ma con qualche tamarrissima Peroni in lattina, un italiano sempre meglio da evitare per gli anglofoni (fa poco figo), e una chitarra pronta da sbattere nell’ultima traccia… cioè quella che sarebbe arrivata di lì a qualche decina di minuti.
Al Circolo degli Artisti i Crocodiles hanno presentato Summer of Hate, il debutto discografico firmato Fat Possum.

C4_DiSantoSaranno quegli anni ’80 troppo ostentati, il vecchio shoegaze. Saranno le giacche di pelle, i jeans strettissimi, ma decisamente “California style”. Sarà, ma a me pare che dice bene quello che li ha definiti “americani che puzzano d’Inghilterra fino al midollo”. E allora, oltre al dejavù, cosa rimane? La nostalgia? E te pareva… Quella un soffio sul cuore ce lo mette sempre. È troppo facile.
E allora, mentre i due baldi giovani si dimenano sul palco – nella completa immobilità, quasi in un mondo parallelo, di basso e batteria – e i vecchi rocchettari di una volta cominciano a sentirsi vecchi, io guardo il pubblico. Un pubblico partecipe ma composto, che esplode con quel paio di pezzi più conosciuti (“I Wanna Kill” e “Neon Jesus”). Un pubblico composto, e quindi in totale opposizione con i due scalmanati che dall’alto del palco sputano, storcono chitarre e le buttano per aria.
Un pubblico che non si stupisce più di tanto quando dopo soli 40 minuti finisce il concerto. E che fossero stati 40 minuti e 10 euro spesi per dei mostri sacri che arrivano, sputano qualche bestemmia, cantano una canzone in totale stato di ebbrezza e vanno via ruttando, li avrei anche capiti. Ma noi siamo ottimisti, come sempre. Infatti ci è andata bene, perché amici irlandesi ci informano che i Crocodiles hanno avuto il coraggio di suonare per 15 minuti: 1 euro a minuto!
E allora non mi stupiscono più di tanto i Crocodiles e il loro essere sopravvalutati, ma il loro piccolo e acerbo popolo di seguaci italiani. Quelli che compravano vinili al merchandising della band e che, sotto il palco, cantavano solo quella canzone che sono riusciti a scaricare da e-mule.
Ecco, non capisco un pubblico che non si stupisce. E, obbiettivamente, mi stupisco…

Emiliana Pistillo

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