Elisabetta II
[TEATRO]
ROMA – Un grande attore, Roberto Herlitzka, un grande autore, Thomas Bernhard, un incontro perfetto, già sperimentato in passato e rinnovato quest’anno con lo spettacolo Elisabetta II, in scena per la prima volta in Italia dal 6 ottobre al 1 novembre al Teatro Vittoria di Roma, con la regia di Teresa Pedroni.
Scritta nel 1987, a soli due anni dalla sua scomparsa, Elisabetta II è l’ultima pièce del grande scrittore, poeta e drammaturgo austriaco, ironico e dissacrante, considerato tra i massimi autori della letteratura contemporanea. Un’opera non facile da mettere in scena, con un testo incentrato sulla rappresentazione stessa della parola che si traduce, in pratica, in un lungo monologo che solo l’abilità di un grande interprete può rendere in tutte le sue sfumature e accenti.
E assolutamente perfetta è la prova di Roberto Herlitzka, superlativo nel virtuosismo della parola, ma anche nell’espressione dei mutevoli pensieri e sentimenti che vi sottendono, nei panni del protagonista, Rudolf Herrenstein. Un vecchio, ricco e misantropo mercante d’armi costretto da molti anni su una sedia a rotelle, che per aver permesso al nipote di assistere dalle sue finestre alla parata della regina Elisabetta, in visita a Vienna, si trova con raccapriccio a dover accogliere una quarantina di invitati, con tanto di buffet e intrattenimenti.
La gran parte dello spettacolo in realtà trascorre nell’attesa di questo evento. Un’attesa che a momenti pare interminabile, scandita dall’inarrestabile fiume di parole che questo vecchio burbero e scontroso riversa sul fido domestico, Richard (Gianluigi Pizzetti), maschera muta ma meravigliosamente espressiva, vittima dei suoi capricci e delle sue sottili vessazioni, ma dal quale egli dipende interamente, terrorizzato dall’idea di essere abbandonato.
Dal soliloquio apparentemente sconclusionato di quest’uomo insopportabile, che si lamenta di tutto, emerge tutta la carica dirompente dell’ironia dissacrante di Bernhard nei confronti di un mondo al collasso economico, sociale ed artistico e della società, soprattutto quella viennese, ipocrita e vuota, che non si rende conto che in fondo ogni cosa è ridicola, se paragonata alla morte. E proprio la morte, introdotta sul palco fin dalle prime battute, è sempre presente sulla scena, con allusioni e riferimenti diretti e indiretti, quasi in preparazione della grande sorpresa finale, quando, proprio al passaggio della regina, il balcone con tutti gli ospiti assiepati crolla con un gran boato lasciando impietriti dallo stupore Herrenstein e Richard, gli unici sopravvissuti…
Emanuela Meschini
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