Mauro Pagani nella Grande Mela
NEW YORK- A fina maggio New York ha salutato l’arrivo di uno dei più dotati musicisti italiani, Mauro Pagani. Co-fondatore della Premiata Forneria Marconi, poi collaboratore di Fabrizio de Andrè, infine autore e interprete in proprio, Pagani è stato protagonista di due importanti serate. Nella prima, venerdi 29 maggio, all’Istituto di Cultura Italiana, ha presentato il suo primo progetto letterario sugli anni ’70, sul suo decennio, Foto di gruppo con chitarrista. La grande forza di questo libro è che il suo autore ha vissuto da protagonista ogni evento, spesso comico, altre volte tragico, che ha raccontato. Dalle uova con la vernice rossa alla prima della Scala, ai fatti di piazza Fontana, fino al funerale di Demetrio Stratos, grande musicista del gruppo Area, “che ha segnato la fine di un’epoca“. E’ un libro sulla musica, ma anche su un’epoca.
Nella seconda serata (31 maggio), invece, ha fatto scatenare tutta l’isola di Staten Island (New york ) con La notte della Taranta, un concerto che riprende l’ormai mitico festival che ogni anno si svolge in Puglia ad agosto, fatto tutto di musiche folk salentine e del Gargano. Con lui hanno suonato anche sette musicisti dell’orchestra Ensemble della Taranta. All’istituto di cultura italiano è stato presentato anche il progetto “Domani. Dopo il terremoto” e proiettato il video della omonima canzone, cantata da 56 artisti, che ha già venduto 300 mila copie e raccolto circa un milione di euro.
Nell’intervista che segue, Mauro Pagani ci ha raccontato i suoi anni ’70, il fervore musicale di quegli anni, la capacità dei ragazzi di sognare e le differenze musicali tra ieri e oggi. Si è anche sbilanciato, affermando che la taranta dovrebbe diventare internazionale proprio come il raggae…
Mauro, dopo il tributo a Fabrizio De Andrè, con il quale tu hai collaborato per tanti anni, torni a New York da scrittore…
Io amo New York, credo che sia una terra che dia ancora grandi possibilità. Sono orgoglioso di poter presentare ai tanti italiani e agli italo americani il mio romanzo. Durante questi incontri, a partire da quello all’Istituto di Cultura Italiana, ho visto facce incuriosite, interessate, che magari degli anni ’70 non sanno nulla o quasi. Con questo libro vorrei che le persone capissero quanto quegli anni siamo stati fantastici, importanti.
A chi ha studiato quel periodo sui libri di scuola e a chi sta vivendo le conseguenze ora di quegli anni, il tuo entusiasmo non convince troppo…
E’ per questo che ho scritto il libro. C’è stato il terrorismo è vero, l’orribile morte di Moro, ma è anche nato il costume del pensiero giovanile italiano. Sono anni in cui la nostra musica, ma anche la nostra cultura, è riuscita a farsi conoscere all’estero. Noi ragazzi non parlavamo solo di politica. Erano anni di grande fermento per la musica, i giovani avevano voglia di sognare, di cambiare il mondo.
Se dovessi rappresentare gli anni ’70 con uno strumento musicale, quale sceglieresti?
La tastiera e l’uso innovativo dei pianoforti. In questo periodo nascono i sintetizzatori, importantissimi.
Pensa, si lavorava su suoni totalmente inventati da capo. I suoni per la prima volta si creavano. Una rivoluzione.
Hai detto più volte che in quegli anni costruivate attraverso mille chiacchierate il vostro futuro, i vostri sogni. L’Italia attuale, anche quella musicale, vista con quegli occhi di allora, ti delude?
Tanto. Mai avrei pensato che l’Italia si sarebbe chiusa in un sistema miope, figlio della televisione, senza identità. Tutto lo schieramento politico degli ultimi trenta anni ha pensato soltanto a se stesso, se ne è fregata della nostra terra e delle sue potenzialità. Non è stata capace di infiammare i nostri sogni. Per quanto riguarda il nostro sistema discografico, posso solo dire che è veramente scadente. Io mi occupo di musica del mondo, della contaminazione fra musica nazionale e popolare. Questo era un filone che in Italia andava molto in passato, ma per colpa di molti manager tanto è andato perso.
Tu negli anni ’70 avevi circa 20-30 anni, iniziavi a suonare seriamente. Ti ritrovi nei giovani che stanno avendo successo ora?
Tutto è diverso, troppo. Ora sembra che le redini del gioco le tengano i reality show, i programmi televisivi che puntano solo al successo e all’immagine. Vincono i ragazzi che sanno interpretare meglio un brano e che sono carini. La creatività non è richiesta. Prima che avessi fortuna con la PFM a me, come a molti miei colleghi, interessava fare musica di qualità, avevamo degli ideali, dei sogni. Non ci interessavano tanti i dischi, che spesso ci venivano forzatamente propinati da qualche casa discografica, con testi già scritti, che noi dovevamo solo cantare. Molti miei coetanei infatti non hanno fatto molta strada, sono stati sfortunati, ma non si sono mai piegati e sono bravissimi.
Perché hai lasciato la PFM, con il quale avevi avuto subito successo? Ricordiamo che il vostro primo album era in vetta a tutte le classifiche…
Ho lasciato la PFM perchè mi sono chiesto cosa avrei voluto fare da grande. Il musicista. Mi sono accorto quindi di non saperne abbastanza, dovevo lasciare. E poi in quegli anni mi ero innamorato della musica del mondo, di cui mi sto occupando a pieno.
Appunto, la musica del mondo. E’ stato considerato uno degli album più belli degli ultimi 50 anni Crueza de Ma, scritto in genovese con Fabrizio de Andrè. Tu sei venuto a New York anche per un altro evento: la notte della taranta. Come è andata?
Benissimo. C’era davvero tanta gente. Ho suonato insieme all’Orchestra Popolare della Notte della Taranta, che da tre anni, guida il concerto finale del Festival che si svolge in Puglia, a Melpignano. Non c’erano solo pugliesi. A un certo punto ho visto tanta gente ballare, è stato divertente pensare di essere a New York e non in Salento.
Confermo che ballavano in tanti. L’orchestra è stata fantastica e anche tu con il violino. Da tre anni guidi l’Orchestra durante la Notte della Taranta che si svolge ad agosto. Come ti ci sei avvicinato?
Io amo la musica del mondo, ho studiato tutti i dialetti, ho scritto anche molte canzoni in lingua. Io credo nella Taranta e nei suoi ritmi. Secondo me se venisse rivalutata potrebbe diventare la base del nuovo rock. Dovrebbe e potrebbe diventare internazionale. Guarda il reggae, era una musica e un ballo locale che grazie a una persona speciale, un musicista “gigante” come Bob Marley ha varcato tutti i confini. Io credo che con la Taranta si possa fare un percorso simile. Non prendetemi per pazzo. Amo le sfide.
Donatella Mulvoni, martelive, martemagazine, Mauro Pagani, musica, New York