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La fretta, le porcherìe e la Chimera

il7
[IL7 SU…]

il7I VST (Variazioni sul tema) scavano piccoli canali di irrigazione nel Tempo inclemente che scopre i nostri nascondigli; il loro è un pop jazzato ma venato anche di funky, in origine concepito per dare alloggio alle creatività di diverse persone riunite insieme a Terracina a dispetto delle diverse età anagrafiche e coalizzate per dare corpo ad un mood elegante e un po’ languido.

Poi le diverse scelte esistenziali dei vari componenti hanno condotto alcuni di loro a prendere vieVST diverse, ma attorno al nucleo centrale, composto da voce solista e piano & chitarra, si è ricostituita una più solida formazione destinata a crescere ancora. “L’uomo che sogna” è una parentesi sognata da qualcuno che riposa sul tremolìo delle onde proiettate col pensiero all’ombra d’un rifugio “e poi nascondersi qui e stare ancora qui dove riposa l’ombra di un uomo che sogna, scalare montagne lontane da solo, sentirsi importante almeno una volta”, incisa da un’arpeggio sensibile sempre in procinto di far guizzare un ritmo fuori da un pigro incanto dispiegato attorno ad una voce pensosa capace di sollevarsi in fantasie di grandi imprese e sostenuta dai “na-na-na-na-na” di una secon-da voce in sordina, al riparo dal sole del primo pomeriggio. “Presto tornerò” è invece un rock swingato e funkeggiante, che attraversa momenti morbidi ma si fa sempre più frenetico, per riflettere la fretta di qualcuno che non può trattenersi a lungo a dare spiegazioni ma che tornerà a darle quando ormai saranno superflue “e so che non sarà più lo stesso… un giorno tutto questo… ora io non posso, presto ti dirò… tornerò…”. “La seconda voce, o dei campionamenti, si divertono a punteggiare il brano con dei vocalizzi malignetti, come accade anche in “Easy try to say”, un pezzo dal ritmo andante che sa di night club semideserti alle tre di notte, con chiazze di birra sul pavimento e l’aria ingombra di occasioni perdute mentre il piano ancora indugia a raccontarle negando la tristezza dei colpi al cuore e delle pagine in bianco. Ci piace immaginare i VST a bordo dell’ecobus targato Radio Lifegate e MArte Live mentre suonano ai Fori e a Termini in memoria di quella volta che Max Gazzé usò il carbonio radioattivo per datare l’età vetusta delle corde del loro basso (vedere www.myspace.com/vstonline per capire).

Roma_Calibro_9Roma Calibro 9 è un carro armato guidato da parolai di talento che si diffondono su ogni argo-mento con sempre lo stesso intento, che è quello di andarci tosto picchiando dritti al mento. Que-sta squadriglia rap spara fuori “Proiettili dalla mente” con la facilità con cui un orango venuto dal pianeta delle scimmie sguscia le noccioline. Il rap rappresenta infatti quell’anello dell’evoluzione che collega le incazzature del presente e del passato alle marce rivoluzionarie che si avranno in futuro, quando la Santanchè avrà superato il senso della misura! Il campionamento di un riff classico eseguito da archi dà un senso di gravità solenne al manifesto della loro poetica dina-mitarda. “Devasta per protesta, adrenalina nella tua testa”, ma anche “prove su prove, fallimenti e rinunce, sfide nel rap come nella vita … dritto senza dubitare, questo treno non fa fermate nean-che per pisciare… tra mille pericoli e nemici potenti che ti vengono sotto col coltello tra i denti… Zero paranoie e lingue fuorvianti, ascolto solo la voce più autentica, Roma Calibro 9 è il mio marchio di fabbrica” (“Sporchi d’asfalto”), la sensazione d’invincibilità è autoproclamata, malgrado i colpi subiti e le mille grane, si tira avanti “ma non sull’attenti”. Nel pezzo si consiglia di lasciare agli yankees le lotte tra gangsters, e di buttare quindi un occhio ai valori sani e uno al passaporto, siamo tutti romani (“Original Rap Romano”: “Vaffanculo a te e al tuo sogno americano…” L’appartenenza territoriale non ci risparmia i ragli dei leghisti, ma i suoni gangsta sono solo musi-ca per cambiare: “niente sparatorie o lotte tra bande ma solo pantaloni calati sotto alle mutande”, ed anche: “Io di sicuro no, non giro in Lamborghini, al massimo musica a palla e abbasso i fine-strini”, con tanti saluti anche ai balordi sfondati di soldi sporchi: “con quello che ch’hai addosso io ci campo un anno intero”. Il buio dentro l’anima, stretta nella rabbia delle periferie, si illumina quindi alla luce d’uno spirito indomito, che strilla la verità contro le solite porcherìe!

Kedjai è un gruppo power-progressive che sbriglia visioni oniriche dal limbo in cui la razionalità Kedjaiimpiegatizia le ha confinate e le dispone su un tapis roulant arroventato da caroselli di chitarre che si interrompono o sovrappongono a scatti e sviluppano sarabande allucinatorie ma anche liberatorie nella misura in cui permettono di buttar fuori l’energia magmatica di ritualità esoteriche che consistono nello switchare i canali della vergogna globalizzata e delle guerre locali e sbraitare “Perchè?” agitando la polpa di musiche iconoclaste: “C’è soltanto l’odio come linfa vitale in questo mondo surreale”. “Katiusha” è diviso in tre sezioni, ciascuna delle quali rivela un cro-giolo di spunti posseduti da sacra furia e madidi di sudore; la seconda parte è quella più pregna di atmosfera, costruita su una frase di chitarra in scala e su un basso profondissimo che scolpi-sce bocce di opale attorno ai mostri semisepolti che infestano alcune zone del mondo attirandovi sopra sventura. La voce narrante fornisce le coordinate di un mondo decadente pre-sentato co-me una Babilonia popolata da Chimere ringhianti. Il brano prosegue annodando strofe proclama-te con forza, sfrigolii di chitarra ed evocazioni simili a cori di Baal, che si susseguono acca-vallando stati di tensione dalle nuances spesso orientaleggianti. “Mardi Grass Experience” è a metà tra una spaventosa taranta sumera e la virulenza di cloni bionici degli Jefferson Airplane, che non erano prog, ma che avevano un’energia psichedelica anarcoide non indifferente. Ma sono solo mementi all’interno di un flusso di suggestioni vibranti che rimbalzano sugli spigoli dell’anima, non lasciandosi facilmente ricondurre ad una matrice melodica o ad una influenza univoca. Forse questa tendenza a stirare sempre al massimo le tonalità espressive può essere vista come un limite dai malati di cuore, ma una terapia shock improntata ad una continua ricerca musicale del benessere attraverso la negazione del malessere, stile nuovi King Crimson, può essere viceversa considerata salutare per chi vuole far riecheggiare tutto il proprio essere di sensazioni epiche e roboanti, come quelle di una Chimera sconfitta da Bellerofonte in groppa a Pegaso mentre mangia un tramezzino.

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