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Telefilmando

Alessia_Grassoi
[CINEMACITTA’]

Alessia_GrassoiCiò che viene dopo il cinema sono di certo le serie televisive: miriade di racconti che arrivano fino al nostro cuore, portando avanti per anni ciò che il cinema solitamente finisce nell’arco di due ore.
Non vi siete mai commossi di fronte ad un episodio di Grey’s Anatomy? O, scervellati, dopo uno di quegli intricati finali alla Lost? O, ancora, impauriti nel mistero di Twin Peaks?

Molti telefilm sono diventati gioielli televisivi da imprimere per sempre nell’immaginario collettivo, piccole opere d’arte da valorizzare puntata per puntata: sono molti i registi da nominare o i telefilm alla quale fare riferimento, come i festival e le manifestazioni che ne dedicano dei premi.
Il RomaFictionFest è una di quelle manifestazioni che si è fatta strada nel corso degli anni, cercando di portare a galla le serie televisive come le fiction italiane che riempiono giornalmente i nostri schermi.

E proprio il RomaFictionFest, che aprirà le sue porte dal 6 all’11 Luglio, ha organizzato una serie di incontri con la collaborazione dell’associazione degli sceneggiatori, SACT (Scrittori Associati di Cinema e Televisione) chiamati Created By- La Tv delle idee, la Tv degli sceneggiatori: all’interno di questi i molti autori esteri raggiungeranno la Capitale per poter colloquiare con gli sceneggiatori italiani, per condividere il processo e la realizzazione delle serie televisive.
Lunedì 18 maggio, ha avuto luogo alla Casa del Cinema a Villa Borghese, l’incontro con Ashley Pharoah, il creatore della famosa serie televisiva Life on Mars e del suo sequel Ashes to Ashes.

Life on Mars, serie televisiva britannica del 2006, è stata creata da Matthew Graham, Tony Jordan e il suddetto Ashley Pharoah: Sam Tyler (John Simm) ispettore capo della Polizia di Manchester, dopo essere stato investito da un auto, si ritrova immerso nel passato, esattamente nel 1973.
Lungo la serie, l’uomo, che si ritroverà sotto la supervisione dell’attuale ispettore Gene Hunt (Philip Glenister), dovrà  scontrarsi con il passato, i cambiamenti, i modi di pensare e le tecniche investigative degli anni ’70.
Il titolo proviene da una canzone di David Bowie, per l’appunto “Life on Mars”, e il creatore stesso ha dichiarato che la scelta è ricaduta non solo per il successo che la canzone aveva a quei tempi, ma per il contenuto che esprimeva il testo: “Un uomo viene catapultato in un mondo completamente estraneo. Abbiamo usato la canzone di Bowie solo due volte: nel primo episodio e alla fine, in due momenti molto commoventi“.

Di certo questa serie televisiva, diventata ormai un culto, mescola ciò che è la fantascienza- irreale con il genere poliziesco, creando un vero e singolo caso a parte: la serie è stata spesso elogiata per i suoi messaggi nascosti ed intricati, con riferimenti psicologici in bilico tra follia e realtà. Quale potrebbe essere mai la verità? La pazzia di Sam che crede di aver viaggiato nel tempo o un reale fatto paranormale che si scaglia contro l’ispettore?
Spesso è questo il bello delle serie televisive: il suo lasciare spazio alla totale interpretazione o nel credere che, in fondo, la fantasia possa esistere ma che segna, allo stesso tempo, un sottile confine con l’immaginazione della mente umana.

Il mio nome è Sam Tyler, ho avuto un incidente e mi  sono risvegliato nel 1973. Sono matto, in coma, indietro nel tempo…qualunque cosa sia accaduta è come se fossi atterrato su un altro pianeta. Forse se riesco a capire la ragione riuscirò a tornare a casa“, Ashley Pharoah ha raccontato simpaticamente che se si fosse ritrovato con l’opportunità di ritornare indietro nel tempo, avrebbe deciso di incontrare la madre, per vedere cosa avrebbe combinato a quei tempi. Ed è proprio lui, il creatore riccioluto dall’aria simpatica, che racconta man a mano i vari sforzi per creare una sceneggiatura adatta alla seria o come, questa stessa, sia passata dall’idea iniziale di una sit-com, al finale progetto ben più profondo, dalla linea quasi malinconica.
Malinconica perchè, Life on Mars, ci porta indietro nel tempo, tra due epoche molto differenti e che portano il protagonista a farsi determinate domande, guardando dentro se stesso.
Ma se da un lato c’è la tristezza e la malinconia, dall’altro l’ironia subentra, creando un perfetto equilibrio di trama che tocca, in ogni caso, le tematiche di tutti i giorni: ma quanto è bello vedere un uomo catapultato nel passato, che commette le sue gaffe perché fin troppo abituato alla modernità?

Sono tante le fasi necessarie per creare una serie televisiva simile: casting, budget, sceneggiatura e produzione, in tutto questo i creatori si rimboccano le maniche, e Pharoah ci sottolinea come sia importante creare una fiducia reciproca tra produttori e registi, per cominciare un’avventura degna del suo nome.
Si definisce il più romantico, Pharoah, lo sceneggiatore che si è occupato maggiormente delle scene più sentimentali, o del rapporto dell’ispettore Sam con la madre stessa e ha ammesso che avrebbe tanto desiderato una terza stagione della serie ma che, per il rifiuto del protagonista John Simm, l’idea fu accantonata.
Da qui il suo sequel, Ashes to Ashes, richiesto dalla BBC, che tratta della storia di Gene Hunt che si sposta, dagli anni ’70 agli anni ’80, da Manchester a Londra.
Ispirato alla serie americana Moonlighting, Ashes to Ashes è alla sua terza stagione e non pare proprio volersi fermare, nell’interessante racconto degli anni ’80 nel Regno Unito.

Mentre invece, le due stagioni di Life on Mars resteranno negli archivi dei ricordi, con un remake americano che si è fermato, purtroppo, al diciassettesimo episodio della prima stagione, ma che racchiudeva un grande Harvey Keitel nella parte dell’ispettore Gene Hunt: poco male perchè a detta di Pharoah, l’anima del vero Life on Mars era stata decisamente distrutta dal progetto americano che aveva scarsamente focalizzato il rapporto tra i due poliziotti protagonisti.
E, purtroppo, che sia cinema o tv la regola resta sempre la stessa: i remake non fanno quasi mai centro.

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