Quando anche il Cinema ricorda
[CINEMACITTA’]
“Oggi si fa la storia. Questo giorno verrà ricordato. Tra molti anni i giovani chiederanno, meravigliandosi, di questo giorno. Oggi si fa la storia e voi ne fate parte. Seicento anni fa, quando altrove fu addossata loro la colpa della Peste Nera, Casimiro cosiddetto il Grande disse agli ebrei che potevano venire a Cracovia. Essi vennero, trascinarono i loro averi in città, si sistemarono, misero radici, prosperarono.
Negli affari, nella scienza, nell’istruzione, nelle arti. Arrivarono qui senza niente e fiorirono. Per sei secoli c’è stata una Cracovia ebrea. Riflettete su questo. Da stasera quei secoli sono una diceria, non ci sono mai stati. Oggi si fa la storia
”.
Giorno della Memoria: il 27 Gennaio, giornata per la commemorazione delle vittime della Germania nazista, è stata istituita in merito al ricordo dell’arrivo delle truppe sovietiche al campo di concentramento di Auschwitz, assistendo all’orrore della guerra ma ancora prima a quello umano.
Quanti libri, documentari e perfino pellicole cinematografiche ci hanno apportato più volte la giusta conoscenza di quei terribili anni di guerra, dello sterminio della popolazione ebraica, della guerra guidata da Hitler e di quei tempi tanto oscuri ed inimmaginabili, come se fosse impossibile ammettere che siano davvero esistiti.
Di parole ne sono state spese così tante e spesso sono state le immagini a trasmetterci la verità, forse a volte fin troppo calcata e romanzata, ma per lo più fortemente realistica, da creare in tutti noi un certo vuoto.
Innumerevoli sono i registi che hanno preso a cuore un tema così delicato, cercando di parlarne tramite l’arte cinematografica, rappresentando sguardi impauriti, una fiamma colorata in mezzo al chiaroscuro e voci, dichiarazioni, domande sul perché sia esistito o sia stato permesso tutto questo.
E tutto potrebbe partire dal Diario di Anna Frank, simbolo dell’Olocausto e degli Ebrei stessi, da cui è stato tratto un film nel 1959 “The Diary Of Anne Frank” diretto da George Stevens e quello più attuale, prodotto dalla BBC per la televisione britannica.
Le pagine prendono vita e ci ritroviamo immersi nella vita di Anna, giovane ragazza ebrea di Amsterdam, costretta ad entrare in clandestinità insieme alla famiglia per sfuggire alle persecuzioni e ai campi di sterminio nazisti.
Sia alle medie che al liceo ci siamo sempre trovati di fronte a questo testo e a simili racconti che narravano le vicende di adolescenti nel pieno della guerra, del rifiuto della gente e di come certi legami si siano rovinosamente spezzati e non a caso, personalmente, mi piace ricordare la pellicola del tutto sconosciuta “I Love You, I Love You Not”, con due giovanissimi Claire Danes e Jude Lawe, che ci riporta indietro nel tempo ad un’amicizia tra un’ebrea e una tedesca, del loro amore per i libri e nel distacco che conseguì con lo scoppio della guerra.
Perfino “Vite Sospese” con una funzionale coppia come Michael Douglas e Melanie Griffith, ci mostrava come l’amicizia tra due persone (in questo caso tra la Griffith e la biondissima ed algida Joely Richardson) subiva le sue incongruenza per la semplice differenza di “razza” e non a caso la citazione della Richardson, con una bella pistola in mano, ci fa riflettere: “a parte te non so che farmene degli Ebrei”.
Tutt’oggi è ancora inquietante osservare quelle mappe schematiche del rifugio di Anna e della sua famiglia, o quei numeri, di un inchiostro indelebile, che segnano rovinosamente il polso.
E tra film da premio oscar come l’emozionante “La Vita è Bella” di Benigni, che gli valse l’oscar sia come regista che come miglior attore protagonista e i tanti come il più leggero “Train de Vie- Un treno per vivere”, l’incredibile Meryl Streep in “La scelta di Sophie” e il più diretto film per la tv “Il Processo di Norimberga”, con un prestante Alec Baldwin, ce ne sarebbero davvero tanti da nominare e ricordare, di registi che hanno messo mani ed occhi sulla storia, per ricordare in primis le loro origini ebraiche.
Un esempio palese è il regista Roman Polanski che con il suo famoso “Il Pianista” sprofondò nei ricordi del ghetto di Varsavia, dal quale riuscì a fuggire, lasciando tuttavia la madre che, in seguito, morì presso il campo di sterminio di Auschwitz.
Il Pianista, film del 2002 e tratto dal romanzo autobiografico di Wladyslaw Szpilman, narra la storia dell’omonimo Szpiman (interpretato da Adrien Brody), un pianista ebreo che subisce, sulla propria pelle, gli orrori dell’inizio della guerra: dopo la deportazione della famiglia e il suo miracoloso salvataggio, dovrà percorrere un cammino esistenziale verso la salvezza, attendendo di poter suonare nuovamente il suo pianoforte che non riuscì a toccare per tutta la durata della guerra.
Ed è stato proprio lasciato per ultimo il più grande film sull’olocausto, che fece ritrovare a Steven Spielberg le sue radici ebraiche, tratto dal racconto di Thomas Keneally, che narra la vera storia di dell’industriale tedesco Oskar Schindler: Schindler’s List.
A detta dello stesso Spielberg il film venne girato in bianco e nero perché “è il mezzo espressivo adatto a questo film, perché non voglio abbellire e impreziosire le vicende”, seppur durante la pellicola ci ritroviamo di fronte a dei simboli piuttosto evidenti, come la fiamma colorata dello shabbat e il cappotto rosso di una bambina, che cammina dispersa per il ghetto preso d’assalto dai nazisti, richiamando a sé l’orrore dello sterminio.
Di questo film, per l’appunto, è la citazione ad inizio articolo, espressa dal generale Amon Göth, interpretato da uno straordinario Ralph Fiennes, che ci rammenta come sia intricato il mestiere dell’attore, che và da un “paziente inglese” innamorato ad un crudele e folle assassino.
Ma la coppia vincente, che fa la storia del cinema in questo gioiello poetico e commovente, sono il duo Liam Neeson e Ben Kingsley, rispettivamente Oskar Schindler e il suo contabile ebreo Itzhak Stern che si stringono le mani, in un profondo primo piano, alla fine della dura esperienza.
Stern ci ricorda che “la Lista è vita”, che qualsiasi uomo può fare del bene e salvare delle vite, cercando di andare contro tutto, affrontando in prima persona il pericolo e abbandonando ogni tipo di bene materiale.
Persone come tante che si sono ritrovate travolte da degli eventi inconcepibili, confusionari, lontani dalla ragione umana, e noi siamo qui a ricordare, tramite le pietre che per gli ebrei sono il segno del legame e della memoria, attraverso il passaggio da Padre a Figlio ( le stesse pietre che vennero messe dagli ebrei di Schindler sulla sua lapide, come “giusto tra le nazioni”).
Nella storia cinematografica, invece, il ricordo perdurerà per una semplice immagine: nel cimitero, in lontananza, la figura maestosa di Liam Neeson depone un’unica rosa rossa sulla lapide del reale Schindler, ringraziandolo silenziosamente per avergli donato il ruolo della sua vita.
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