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Paolo Rossi: ritorno col botto

Paolo Rossi spazia da trent’anni dalle pedane dei club, ove esordì come assistente, ai grandi palcoscenici, dal teatro tradizionale al cabaret, dalla televisione al tendone da circo: dovunque ha proposto il suo personale modo di fare spettacolo che, pur immergendosi nelle tematiche contemporanee, non prescinde dall’insegnamento dei classici antichi e moderni. Non a caso Gino e Michele, che una certa esperienza in fatto di comici ce l’hanno, hanno detto di lui: “Paolo Rossi? Parla quattro lingue. Purtroppo tutte contemporaneamente”.

Ed è proprio con la sua poliedricità che il signor Rossi torna, fino al 22 febbraio, al Teatro Strehler di Milano con Sulla strada ancora, titolo preso in prestito dalla celebra canzone dei Canned Heat, che accompagna l’ingresso, o meglio ancora, il ritorno di Paolo Rossi sul palcoscenico.

Lo spettacolo prende spunto da un episodio realmente accaduto nella vita dell’artista: un anno fa, infatti, sarebbe dovuto tornare in diversi teatri italiani con lo spettacolo Ubu Re d’Italia, tratto dall’ opera teatrale di Alfred Jarry, Ubu roi, opera che ha come protagonista un sovrano grottescamente avido e facile simbolo di ogni potere; non a caso, nello spettacolo mai andato in scena, questo personaggio doveva trovarsi a vivere non più in un’immaginaria Polonia, ma nell’Italia di oggi.
Ma questo spettacolo lo possiamo solo immaginare perché l’intera tournée fu annullata “a causa delle condizioni di salute dell’artista” e dietro “precise direttive mediche”. Sulla strada ancora prende spunto proprio da questo fatto per narrare al pubblico come in realtà sono andate le cose, sempre però in bilico tra verità e finzione, arricchendo il racconto con aneddoti e personaggi che spesso non è ben chiaro se siano reali o frutto della verve comica di Rossi.
E’ lui stesso a chiarire il concetto: ”Sulla strada ancora è un racconto teatrale, non giornalistico: uso molto l’immaginazione. Il tono e le parole sono stralunate e surreali, ma chi ha vissuto quel periodo si riconosce. Per dirla con una battuta: la gente ride, io faccio terapia e invece di pagare io mi pagano loro.” Beh, il succo dello spettacolo è fondamentalmente racchiuso in quest’ultima battuta, ma procediamo con ordine.

Paolo Rossi accoglie gli spettatori con il volto dipinto alla maniera di Ubu: bocca rossa, occhi cerchiati di nero e viso bianco inceronato, per certi versi ricorda molto l’ultimo Joker visto al cinema. La spiegazione di questo trucco è presto data: deve esser chiaro subito a tutti che lo spettacolo è comico, di una comicità a tinte forti. Da qui la necessità del sottotitolo (Parental Advisory Explicit Content) che mette in guardia in modo scherzoso sui contenuti espliciti dello spettacolo, adatti ad un pubblico maturo.
La narrazione entra subito nel vivo con il racconto della prova generale, andata malissimo, di Ubu Re d’Italia: è quel fallimento che innesca il lento percorso che porterà Paolo Rossi di nuovo sul palcoscenico. Dal suo discorso stralunato, causa sbronza, alla compagnia attonita e preoccupata, si passa così a strani (ed esilaranti) incontri fatti su un ponte, fino a giungere alla decisione della produzione di spedirlo per qualche tempo in una clinica di recupero dove il nostro incontrerà l’umanità più varia, dallo psichiatra perverso al compagno di stanza con la memoria cortissima. E’ un lungo racconto di vita quello portato in scena, in cui però trova posto anche la barzelletta, la citazione shakespeariana o l’immancabile frecciatina a colui che è divenuto ormai fonte inesauribile di ispirazione per tutti i comici, ossia il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Vengono inoltre presentati brani scritti da Stefano Benni, Carolina de La Calle Casanova e Renato Sarti, che cura anche la regia dello spettacolo.

Il pubblico ride, applaude, si sente coinvolto da Rossi, che più di una volta dialoga con gli spettatori in sala, abbattendo la barriera invisibile che lo separa da loro.
Insomma, un Paolo Rossi sicuramente attivo, vivace, energico, padrone della scena e della memoria del testo: non a caso, pur essendo presenti in scena due leggii, vi ricorre pochissimo, a differenza di ciò che accadeva nei precedenti spettacoli. Anzi, si ha come l’impressione che nei rari momenti in cui vi ricorre, si ricordi benissimo dei testi che sta per leggere e il leggio sia più un espediente comico che uno strumento di supporto mnemonico. Insomma, in ultima analisi, quello portato in scena è principalmente un ritratto agro-dolce di Paolo Rossi, di un suo periodo buio fortunatamente lasciato alle spalle e che ci ricorda, come dice lo stesso Rossi, che “chi fa satira non può prendere di mira sempre qualcuno, deve anche sapersi mettere in gioco in prima persona”. Ed è proprio quello che avviene in questo spettacolo dal sapore terapeutico, che ha il grande pregio di regalare al pubblico in sala qualche ora di reale buonumore.

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