La cura
[STREAP- TEASE: FUMETTI MESSI A NUDO]
Se solo avesse avuto davvero il becco come un piccione, sarebbe stato semplice accogliere a cuor leggero le dichiarazioni rilasciate da Povia prima, durante e dopo il Festival e soprattutto la canzone cattiva presentata in concorso, e giudicare tutto ciò per quello che è: guano.
Trattandosi invece di un bipede, abbiamo dovuto concedergli libertà d’espressione e un palco sul quale manifestarla.
A difesa dell’artista, va ammesso che Povia non ha mai avuto intenzione di parlare di malattie e guarigioni – meschini noi a crederlo!- ma ha semplicemente trasformato in note una storia ascoltata per caso in treno. Insomma, nessun tentativo di attirare attenzione con facili polemiche, nessuna bieca manovra di marketing e neppure un subdolo tentativo di veicolare distorti messaggi da parte di associazioni che si prodigano per convertire i gay all’eterosessualità, è stata solo casualità.
La casualità è perfida. Se Povia avesse viaggiato da solo quel giorno, senza nessuno con cui parlare, e magari all’arrivo in stazione, in una di quelle grandi librerie dove vengono distribuiti anche i fumetti, la sua vispa curiosità di cantautore fosse stata attratta dal fuorviante titolo In Italia sono tutti maschi, oggi forse parleremmo di un Sanremo diverso.
Concediamo al cantante milanese il beneficio del dubbio e supponiamo che avrebbe ritenuto meritevole di essere cantata la storia di Antonio, sarto di Salerno, che durante il ventennio fascista viene costretto all’esilio su un isolotto delle Tremiti, insieme a molti altri uomini di diversa età ed estrazione sociale. Per tutti loro le ragioni ufficiali del confino erano motivi politici o crimini contro la razza, mentre negli atti d’accusa non veniva neppure menzionata la sessualità, dopotutto era stato lo stesso duce ad affermare perentorio che “in Italia sono tutti maschi”; la triste verità è che tra il 1928 e il 1943 gli omosessuali in Italia venivano bollati come nemici della patria e costretti all’esilio forzato, ad un ameno soggiorno direbbe invece il nostro premier, in modo da non mettere più a repentaglio il tessuto morale della nostra virile società.
Il destino riservato agli oltre trecento femminielli al confino è poco noto, perché a differenza del regime, l’omofobia nel nostro paese ha sempre incontrato scarsa Resistenza, e molti dei sopravvissuti hanno preferito che il silenzio nascondesse oppressi ed oppressori e quelle che forse loro stessi consideravano colpe da espiare. Quelli che invece al loro ritorno chiesero allo Stato la riabilitazione non ottennero mai alcun risarcimento.
Onore e meriti dunque a Luca De Santis e Sara Colaone per essersi cimentati in questo toccante viaggio in bilico tra presente e ricordi, nel tentativo di capire e raccontarci cosa abbia significato quell’esperienza per Antonio il sarto, per i suoi compagni d’esilio, ma anche per i carabinieri a cui era ordinato di sorvegliarli e che si ritrovarono a condividerne la quotidianità. La modalità narrativa del flashback utilizzata dal primo si accorda idealmente alle sbiadite tonalità ocra che la seconda sceglie per dipingere il passato che fu, e insieme i due autori scelgono di essere fedeli alla ricostruzione degli eventi, senza rinunciare all’ironia ed una punta di empatia con i personaggi, anche quelli apparentemente sgradevoli.
La novella è incorniciata da una prefazione dei giornalisti Goretti e Giartosio, che avevano trattato il tema nel libro La città e l’isola e che sottolineano l’urgenza di raccontare anche questo passato, benedicendo così iniziative come il fumetto prodotta dalla Kappa edizioni, e da un’intervista di Giovanni Dell’Orto che ha ispirato il racconto disegnato.
Ad accomunare le testimonianze scritte e la rielaborazione in vignette è soprattutto il tema dell’accettazione, sia del passato, perché altrimenti è impossibile vivere serenamente l’oggi, sia della propria natura, per essere felici nonostante l’ostilità del prossimo. E se accettare è in definitiva l’unica soluzione per raggiungere davvero serenità e felicità, realizzare e leggere opere come questa è invece l’unica cura possibile contro l’ignoranza, uno dei mali endemici del nostro paese.
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