Cruel Nippon e Mr Galafate
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L’ispirazione dei Cruel Nippon ovviamente non nasce dai Napoleone Bonaparte di cui sono piene le carceri di S. Elena, ma dai dragoni urlatori degli anni ’60, quando il festival di Castrocaro ancora non accoglieva artisti provenienti da sotto la Kamchatka, che in seguito invasero anche i subcontinenti del Risiko. Invece, i più incontinenti cultori dell’arte occidentale scoprirono solo dieci anni fa il modo in cui il punkabbestia si ritorceva contro e dentro le carni di un Tetsuo contribuendo all’iperfetazione di tutta una genìa di samurai confezionatori di noti stecchini.
Contro il parere dell’Associazione dei Medici Dentisti Italiani, i Cruel Nippon ai dragoni stuzzicagengiviti hanno sostituito delle scolopendre (“Scolopendra vs Rigon”) e una “Tecnopendra” fissata coi cartoni made in Tokio (e per cartoni non intendiamo le confezioni di vino Tavernello) e con le corse in Suzuki intorno al cortile ottenendo un immaginario straccia-pop ultra-punk che potrebbe titillare una o due geishe indemoniate coi gambaletti e le scarpe con la zeppa (Zeppa, infatti, tra le due è “sua sorella”, con rispetto parlando).
Quanto a Rigon, l’ufficio stampa del nipote di Bruce Lee ci ha comunicato che invece del batterista della band, potrebbe trattarsi di un riferimento criptato a Mario Rigoni Stern, che consigliava di “salire la montagna quando è ancora buio e aspettare il sorgere del sole” “perché non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto”. Visto come vanno le umane faccende, avrà vinto la Skolopendra, col kappa (ma anche no, i Cruel Nippon possono spuntarla, se già ce l’hanno fatta con Resident Evil). “Cruel nipple in a frenzy dog” racconta (forse) l’inevitabile decadenza di un impero della Tetta Calante, in una nebbia con gli occhi color chili, simboleggiata dal turgidume capezzolare di un cane gobbo (nel myspace il titolo riporta dog, mentre il commento parla di una fog, una nebbia) preso a calci, sotto al tavolaccio di legno, da membri della Yakuza che non vogliono essere disturbati da un cane epilettico mentre trattano con rappresentanti napoletani di presepi in pietra pomice e mangiano filetti di balena come se fossero fettine panate di povere bestie in estinzione a causa della nebbia psicotica che riduce gli ominicchi in cacciatori “bruciati”. E gli scazzi si alternano a tregue in cui si riflette sul fatto che le cose sporche restano sempre le stesse se non si interviene a devastarle con missilotti sparati da Bond-cars! La “Repetitive song” ci espone alle lusinghe iniziali d’una voce che ci prepara al tran-tran di un giovane liceale-manga molto riservato e paragnosta, mentre poi è la luccicanza di un furore New Wave che cerca di depurarci dalle smanie di questo aspirante conduttore di telegiornale, con un impasto degno dell’emersione dall’oceano di un polpettone epico vivo (sorta di incrocio brunastro tra lo Shishimae ed il ranocchio) che minaccia la nazione nipponica non come un Godzilla, ma come la rivelazione d’una verità bellica catturata con le ciglia finte. “Exogino paucino” è caratterizzato da clangori e poi rintocchi ipnotici attorno a cui inizialmente si avvolge il cantato della sacerdotessa del languore da anaconda, lei sa come trattare in modo allarmante lo struggimento musicale e greve di uno scimmiotto di metal che non sa piangere privo com’è di un cuoricino di pezza! Dicono si tratti dell’exodus toccato in punizione ad un misogino che in esilio è costretto a fare un pieno di pause rancide nel pancino, dopo che prima tanto s’era impegnato a copulare con delle robot-sintetizzatori armate di folli pupazze appese sotto la gonna. Bèh, son forti questi qua, direbbe uno pseudo-Celentano al karaoke; che il loro batterista si mantenga in gamba, non gli serve solo per la grancassa, ma per mantenersi pimpante in un gruppo che offre Pane per i denti del Moracter (www.myspace.com/cruelnippon) e che stritola con un’impulsività sfrontatamente acida, gustosa e a coefficiente femminile!
Praticamente in preda all’ansia di porsi come antitesi di tutti coloro che teme siano proprio come lui, Mr Galafate oppone all’orda spaventosa di musicisti in vetrina una vetrina densa di messaggi tanto reticenti quanto programmaticamente contestabili, tanto da ritrovarsi coinvolto in polemiche a non finire, aspre e violente, già dai tempi in cui Maurizio Costanzo gli strappò i pantaloni in diretta, passando per la doccia di brodo di pollo che gli toccò subire sul palco dell’Ariston, per finire a quando furono distribuite sul mercato tedesco 546000 copie del suo CD in cui però i pezzi erano suonati solo da un’ocarina unta. Gene Gnocchi mi ha confidato, dietro le quinte del Conte Staccio alle 4:21 di notte, che Galafate vuol far credere di essere il parto gemellare che avrebbe voluto avere Gala, la musa di Salvator Dalì, e che le sue Fate lo accompagnano sempre proprio nella speranza di veder prolungate eternamente le loro lussureggianti adolescenze, ampiamente invidiate anche dai ciabattini di Bitonto, tra i quali Mr Galafate afferma di aver militato quando ancora alcuni vegliardi catanesi gli ripetevano che aveva la punta del naso che gli odorava di latte (da cui, ancora, la componente Gala-, dal greco “galattosio”). Sembra che fosse il tardo cretaceo quando imbottì un valigione iper-cool di modestia per andare a vivere tra gli arrivati, tanto che i suoi vecchi amici che ce l’avevano già fatta, ma di meno, fanno la lagna perché su myspace non lo trovano. Ma lui certo non può rimpiangere quei sorrisetti a mezza bocca, quelle toccatine di palle, quelle gomitate ai fianchi, quelle strizzate d’occhio da faina che i bastardi dentro si scam-biavano quando lo vedevano svettare tra gli arrangiamenti come un performer a tortiglione, di-retto e fluido nel contrapporsi al sistema con rivoluzioni poppeggianti misurate su MTV, come di-re: power to the people! Ci pregiamo di appartenere, dal canto nostro, alla “setta” privilegiata di chi lo stima sulla fiducia, dato che sul suo myspace non ha piazzato alcun brano, salvo la pre-sentazione, e infatti abbiamo il present…imento che, se il setting psicoanalitico della razza umana non migliorerà presto, saranno sempre di meno quelli capaci come noi di apprezzare e dedicargli, in piena empatia, questo componimento, che speriamo vorrà musicare e dedicare a chi pensa se lo meriti:
Il Lonfo – Il Lonfo non vaterca né gluisce/e molto raramente barigatta/ma quando soffia il bego a bisce lisce/sdilenca un poco e gnagio s’archipatta/E’ frusco il Lonfo! E’ pieno di lupigna/arrafferia malversa e sofolenta!/Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna/se lugri ti botalla e ti criventa/Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto/che bete e zugghia e fonca nei trombazzi/ fa lègica busìa, fa gisbuto;
/e quasi quasi in segno di sberdazzi/gli affarferesti un gniffo/Ma lui zuto t’alloppa, ti sbernecchia/ E tu l’accazzi.
(di Fosco Maraini)
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