Echi di Richard Wright
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Il 15 settembre scorso, all’età di 65 anni, è scomparso, consumato dal più classico dei mali incurabili, Richard Wright, uno dei padri fondatori dei Pink Floyd, uno dei gruppi più fondamentali e amati della storia del rock. Al di là della considerazione che con lui sembrano svanire definitivamente le già labili possibilità che il gruppo potesse tornare a ricomporsi almeno occasionalmente, l’uomo e il musicista vanno ricordati anche da noi di MArteLive per la discrezione unita all’ispirazione che hanno fatto del celebre tastierista uno delle colonne portanti di un gruppo leggendario.
Tra le innumerevoli risonanze cosmiche che i Floyd hanno raccolto nel loro lungo cammino, non possiamo non ricordare quelle in cui Wright ha contribuito in maniera più evidente: “Atom Heart Mother” è costruita anche su un suo riff all’organo, suoi sono gli effetti del synth in “Any colour you like” e in “Shine on you crazy diamond”, suo l’Hammond in “Pigs, three different ones” senza dimenticare “A saucerful of secrets”, “Echoes”, e tra i tanti, altri due pezzi firmati da lui come autore: “The great gig in the sky”, “Us and them” e “On the run” dall’epocale “The dark side of the moon”. Wright, il cui decesso è stato annunciato dalla famiglia, che ha mantenuto il giusto riserbo sui dettagli, incontrò Roger Waters e Nick Mason quando frequentavano le lezioni di Architettura al college di Cambridge. Fondarono i Sigma 6, nome che fu trasformato in Pink Floyd quando a loro si aggiunse qualche mese dopo, Syd Barrett (passato a miglior vita due anni fa, dopo un lungo silenzio che copriva la sua lotta contro i fantasmi della propria mente); insieme si lanciarono in un progetto di ricerca fatto di sonorità psichedeliche e sperimentazioni elettroniche illustrate già con mirabili risultati nel loro primo lavoro, The Piper at the gates of dawn, oggetto di culto ancor oggi anche per le nuove generazioni.
Dopo l’uscita di Syd Barrett dal gruppo per motivi di salute, Wright diventa il compositore melodico del gruppo, e la tonalità della sua voce, simile a quella del chitarrista “sostituto” di Barrett, Gilmour, permetterà ai due di realizzare effetti vocali tanto memorabili quanto caratteristici. Wright venne di fatto esiliato da Waters in uno dei quei pestiferi conflitti di ego che avvelenano la vita di alcune band. Questa assurda separazione avvenne durante le registrazioni del mitico successo planetario The wall (divenuto uno straordinario film sotto la regia di Alan Parker) e fu motivato da Waters, diventato un po’ il padre–padrone del gruppo e capace però di problematizzare questa sua posizione anche nella finzione artistica del disco-film, con lo scarso rendimento fornito da Wright alle prese con problemi personali (il divorzio) e colpevole di un uso eccessivo di cocaina (circostanza, questa, sempre smentita dall’interessato). Wright fu relegato al ruolo di session man stipendiato, come accadde per i tour del 1980 e del 1981.
Nell’album successivo, “The final cut”, da alcuni considerato quasi un album solista di Waters, che lo dedicò alla memoria del padre morto durante la seconda guerra mondiale, riprendendo ed ampliando il tema, già toccato in “The wall”, Wright non compare. Nonostante ciò, dato che il disco non fu promosso con una tournèe, Wright detiene il record, condiviso con Mason, di essere gli unici membri ad aver suonato in tutti i concerti dei Pink Floyd. Il pianista fu poi richiamato da Gilmour durante le session di A momen-tary lapse of reason, da alcuni considerato viceversa un album solista di Gilmour, che nel frattempo, consumatosi il “divorzio” da Waters, aveva assunto la leadership del gruppo. In quello che risulta essere l’atto conclusivo della storia dei Floyd, The division bell, Wright torna ad avere un ruolo fondamentale anche in fase compositiva, come ai bei tempi: firma cinque brani e canta da solista in “Wearing the inside out”. Da quel luglio del 2005, in cui, in occasione del Live 8, ci fu quell’apparizione fugace ma indimenticabile dei quattro sulla scena di Hyde Park, a sancire una riconciliazione non impossibile, molti di noi sono rimasti in attesa di una riunione piena dei componenti, al di là delle partecipazioni di Wright alle prove solistiche di Gilmour, compreso l’ultimo “On an island”.
Sembrava quasi fatta. Ma ora Wright, dissolvendosi nell’immensità dell’energia universale, ha annullato lui ogni possibilità tangibile di veder ricomposto il magico ensemble. Per omaggiarne il ricordo e ricordarne lo spirito, non resta altro – e non è poco – che riascoltare alcune delle ricognizioni ipnotiche tra macro e microcosmi che i Pink Floyd seppero tradurre in solchi concentrici su una circonferenza nera, dal cui sfregamento uscivano “Echoes“ (dall’album Meddle) dell’insondabile, in cui Gilmour faceva arrampicare sia le note dilatate sia quelle più stringenti per tutta l’altezza di quei muri sonori che Wright costruiva con impeccabile equilibrio e devota passione psichedelica.
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