L’Imperium colpisce ancora?
Interprete di un teatro totale, che sfrutta le moderne tecnologie fondendole al linguaggio estetico del corpo più che a quello della parola, la compagnia catalana La Fura dels Baus, il cui marchio accomuna vari e differenti registi, è nuovamente in Italia dopo Metamorfosis e Boris Gudonov. Regista e ideatore dello show, scritto con Lluís Fusté Coetzee, è stavolta Jürgen Müller, uno dei fondatori del gruppo catalano che dagli anni Ottanta ad oggi ha sviluppato insieme agli altri membri del gruppo il cosiddetto “metodo Fura”, attraverso il quale registi, performer e ideatori sono la stessa entità e lavorano collettivamente.
Nasce così il “linguaggio furero” che si fonda su spazi scenici alternativi, sul coinvolgimento diretto del pubblico nello spettacolo, nonché sulla commistione di diversi linguaggi sia scenici che teatrali.
Con Imperium si rinnova la tradizione del teatro urbano che ha reso celebre la Fura in una performance che nelle intenzioni dell’autore “pone in dubbio l’ idea del progresso dell’umanità, veicolando il proprio messaggio allo spettatore attraverso un’esperienza di viaggio fisico, emozionale e mentale”. Tutto questo nelle intenzioni, appunto.
Lo spettacolo inizia non appena si entra sotto il tendone del Palasharp: allo spettatore è precluso sedersi e lo spazio del pubblico è invaso dalle macchine di scena tra cui una piramide, una gru di 5 m d’altrezza e due torri mobili; in attesa dell’inizio lo spazio comune è invaso da fumo e musica martellante, cosa che rende lo spettatore sempre più irrequieto su quanto stia per accadere, preparandolo psicologicamente ad uno spettacolo sopra i generis e diverso da quelli visti in precedenza. L’attesa termina dopo circa un quarto d’ora con lo scoppiettio di botti e l’ululato delle sirene: il pubblico sorpreso inizia a diventare “fluido” e a spostarsi da una parte all’altra del palco-platea cercando di seguire al meglio le performance delle sei attrici protagoniste. Lo spettatore diviene così partecipe, proprio come il coro della tragedia greca, mentre le performers in scena si mescolano tra il pubblico. I linguaggi utilizzati si moltiplicano pian piano, passando da quello del corpo a quello multimediale e viceversa. Insomma, le premesse sono le migliori ma dopo qualche minuto i dubbi su cosa stia andando in scena iniziano a serpeggiare tra gli spettatori.
Inizia infatti il continuo capovolgimento di scena tra oppressi e oppressori, frutto della degenerazione della società contemporanea: carcerieri che picchiano con bastoni di gomma piuma i propri prigionieri, prigionieri che si ribellano e sottomettono i propri carcerieri, lottatrici che si denudano restando in topless (momento questo a più alto indice di attenzione e gradimento maschile, chissà perché!). In un crescendo di efferatezze, la legge dell’ “occhio per occhio, dente per dente” produce i suoi effetti, condannando l’umanità alla distruzione e il pubblico ad una sempre maggior perplessità. Il tutto condito da un’interpretazione tutta al femminile: infatti la novità più sbandierata di Imperium è proprio quella di essere uno spettacolo di sole donne, da cui però non è bene aspettarsi grazia, eleganza o fragilità, perché per Müller le donne sono quelle che si sono più abbrutite nell’attuale sistema imperialista.
Pian piano l’impressione però è quella di trovarsi non al centro di uno spettacolo innovativo e di denuncia, ma in una discoteca di provincia o ad un rave party, iniziando a chiedersi dove si voglia andare a parare, memori anche dell’avviso all’entrata che invitava il pubblico a non vestirsi in modo ricercato, perché la compagnia non rispondeva degli eventuali danni arrecati. E difatti verso la fine arriva la ciliegina sulla torta: le amazzoni desnude iniziano a lottare tra il pubblico lanciando secchiate d’acqua e farina, annacquando e banalizzando ulteriormente uno spettacolo forse più ambizioso, con la voglia di essere trasgressivo a tutti i costi più che innovativo o di denuncia, come nelle iniziali intenzioni dell’autore.
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