Le (esilaranti) nozze dei piccolo borghesi
Si narra che Le nozze dei piccolo borghesi, opera giovanile di Bertolt Brecht, vide la luce quando il drammaturgo tedesco aveva da poco iniziato gli studi di medicina: in quel periodo Brecht andava a cantare le sue poesie nelle Stuben ossia le birrerie di Monaco.Proprio durante una di queste occasioni si trovò ad ascoltare la conversazione di due giovani che raccontavano l’esilarante, e a tratti drammatica, storia di un matrimonio interminabile a cui avevano assistito. Da qui lo spunto per questa pièce teatrale, che ancora oggi conserva lo stesso impatto dirompente che deve aver avuto il racconto origliato dal giovane Brecht.
Corrado D’Elia, regista nonché attore di questa trasposizione, ben coglie lo spirito dell’opera: infatti è chiaro che si assisterà ad una rappresentazione critica e dissacrante della società borghese fin dalla scena iniziale, quando i nove attori appaiono seduti al tavolo del banchetto nuziale legati come burattini a sottili corde rosse, a testimonianza del fatto che completamente liberi non lo sono, anzi sono prigionieri delle loro stesse relazioni-finzioni, cosa che si chiarirà sempre meglio nel proseguio della rappresentazione.
I fatti ruotano tutti attorno ad un grande tavolo dove gli invitati e gli sposi siedono e, in modo fintamente confidenziale, portano alla luce le loro miserie e i loro vizi. Gli interminabili festeggiamenti danno infatti modo all’autore di svelare le ridicole vanità della piccola borghesia, la sua superficialità e l’importanza che attribuisce alle apparenze sociali. Il susseguirsi delle pietanze e lo “scorrere” del vino finisce però col riscaldare troppo gli animi e col tirar fuori gli aspetti più meschini degli invitati che nell’ambrosia trovano il coraggio di esprimere ciò che veramente sono e pensano, trasformando un felice momento di convivio in una giornata di brutture. Scopriamo così che la madre dello sposo è un’alcolizzata, la sorella della sposa ha una tresca con il figlio del portinaio e non perde occasione per appartarsi con il suo amato e che la sposa tanto illibata non è, anzi…
Particolarmente esilarante è proprio il modo in cui si scoprono le magagne di Maria, la sposa (Monica Faggiani): un invitato dal fare particolarmente zotico e vestito come un coatto dei giorni nostri, con tanto di sciarpetta leopardata e t-shirt scollata, allude per tutto il tempo alla poca castità della sposa e la avvinghia in un ballo che non lascia dubbi sui loro trascorsi amorosi; non pago intona anche una canzoncina, che definire allusiva è un eufemismo, visto che narra di un triangolo amoroso tra un bigotto, uno stallone e una baldracca. Ancora una volta, il marito pirandellianamente non guarda e fa finta di non capire, se non fosse che un’altra invitata, anche lei vittima di un matrimonio infelice, ne approfitta per, come si suole dire, raccogliere le corna da terra per piazzarle in fronte allo sposo. A questo punto il caos regna sovrano, caos che coincide anche con la rottura sistematica e inesorabile dei mobili che Giacomo, lo sposo (un formidabile Corrado D’Elia) si era vantato di aver costruito personalmente. La narrazione mette così in evidenza come si mangi insieme più per rito e per dovere, che per affetto e stima, e si conclude strada facendo con la stessa auto-distruzione dei mobili della stanza da pranzo. Alla fine rimangono sul palco, soli e circondati dalle squallide macerie del pranzo di nozze, i due sposi che iniziano a litigare e ad avere i primi dubbi sul loro matrimonio: ma è un litigio che diverte il pubblico, forse perché in molti dei motivi di attrito si riconoscono le radici dei propri litigi, come per esempio quelli legati ai rispettivi genitori, alla pigrizia del marito e all’infedeltà della moglie. Nonostante tutto però alla fine Giacomo e Maria risultano rafforzati dalla brutta esperienza e si apprestano a consumare la loro prima notte di nozze, prima per modo di dire, dato che Maria è incinta. Baldanzosi si dirigono così verso il letto, anch’esso costruito da Giacomo, che, tra le risate del pubblico, crolla sotto il loro peso immediatamente prima delle garanzie di solidità date dall’uomo. Sipario.
Dal punto di vista tecnico, lo spettacolo intervalla l’incedere di una pièce abbastanza tradizionale, organizzata su una serie ininterrotta di micro-conflitti, ad alcuni fermo-immagine monocromi blu che ricordano scene di Miseria e nobiltà con Totò, e a cui si aggiungono anche sequenze mute e accelerate, in luce rossa, che permettono di far progredire la narrazione, creando un effetto che ricorda le comiche: in una luce soffusa e concentrata, si compongono così delle istantanee del banchetto di nozze.
Oltre a questo è da notare che lo spettacolo si avvale di un ottimo cast di attori, variegato dal punto di vista anagrafico, ma omogeneo per bravura. Un plauso particolare lo merita però Corrado D’Elia sia come regista che come attore, in quanto è riuscito ad allestire un’esilarante e apprezzata pièce, come testimonia il grande afflusso di pubblico che affolla la sala (i 200 posti del teatro Libero erano tutti occupati, nonostante sia estate!), e la partecipazione con la quale proprio il pubblico ride e si diverte in modo quasi palpabile. Buon umore che permane mentre ci si avvia verso le uscite…e di questi tempi non è davvero cosa da poco, no?
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