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Gary Burton Quartet Riviseted: Luglio suona proprio bene!

Sabato 19 luglio all’Auditorium Parco della Musica di Roma abbiamo vissuto una serata all’insegna del grande jazz internazionale, con uno dei progetti più innovativi del settore nato nientemeno che alla fine degli anni ’60 e riproposto ora, in versione rivista e corretta Gary Burton al vibrafono, Pat Metheny alle chitarre, Steve Swallow al basso elettrico e il giovanissimo Antonio Sanchez alla batteria al posto di Bob Moses.

Un grande concerto davvero, che ha visto un pubblico entusiasta applaudire e richiamare gli artisti più volte per il bis, concesso magistralmente dai quattro.

A suo tempo il quartetto aveva proposto un esperimento davvero pionieristico nel panorama jazz, con delle commistioni musicali davvero particolari ed inusuali: elementi rock e arpeggi con la chitarra elettrica di Metheny che per la prima volta nella storia del jazz aveva un ruolo di primo piano. Insomma davvero una rivoluzione, dal sound mai ascoltato prima. Sensazione questa, che abbiamo rivissuto di nuovo lo scorso sabato: il jazz contaminato dal rock che si spinge oltre le barriere imposte dai puristi del genere.
La Cavea gremita di gente, le note del vibrafono di Burton che si alzavano e riempivano l’aria, l’attesa e la sorpresa del pubblico, una batteria presente ma non preponderante, un basso geniale e cortese, ma anche capace di “farsi sentire” e la chitarra di Metheny, che passa dal contrappunto alla world music in un attimo, passando per l’energia del rock e l’allegria della musica sudamericana in un jazz intimista, ma “aperto”.

Quando si dice che la musica dà energia forse ci si riferisce proprio a concerti come questo che regalano gioia ed intensità non solo a chi la musica la conosce bene, ma anche a tutti coloro che, da profani, amano sentire il buono che si cela nelle note.
Uscendo, alla fine del concerto, dall’Auditorium, ho sentito la conversazione tra una signora ed il suo consorte, al quale la stessa stava dicendo che forse non era stato proprio un grande concerto, perché gli erano piaciute solo alcune (poche!) canzoni. A questa signora, chiaramente digiuna di jazz, e forse di musica in generale, risponderei che anche i profani possono riconoscere il talento puro se si lasciano toccare l’anima dalla musica.
La musica Jazz si può considerare come un nuovo varco verso altri mondi musicali: un genere che, partendo da un substrato che comprende forme popolari del blues, degli spiritual e della musica bandistica, arriva ad utilizzare una base di standard come punto di partenza al quale modificare di continuo ogni modulo armonico, melodico e ritmico. Ma non è vero che il jazz è un genere aulico e solo per esperti. E, soprattutto, non è vero che è noioso.

Il Gary Burton Quartet Revisited ci ha regalato la possibilità di comprendere a fondo questo assunto, facendoci assistere ad uno spettacolo in cui l’improvvisazione ha un ruolo fondamentale.
Quando si sale su un palco in cui si farà del jazz, l’estro e la complessità ritmica dei musicisti troveranno sempre il loro sfogo, perché ogni canzone avrà una sua sensazionale sequenza sonora istituzionale (quella delle note scritte su carta pentagrammata), ma al contempo offrirà spazi preminenti alle chicche di improvvisazione che hanno a che fare solo con lo spirito artistico e la fantasia dei musicisti.
La musica è ascolto, è passione, è intrattenimento, è amore, è gioia e tristezza, il jazz è espressione profonda dell’anima dell’artista e delle sue capacità virtuosistiche, ed è il genere più vitale, libero e rappresentativo dell’epoca contemporanea. Forse questo direi a quella signora e di questo quartetto ricorderei solo l’emozione, la profonda commozione e i guizzi di vitalità che hanno saputo regalare al pubblico. Bravi è dire poco!

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