Rein a Occidente
Raccontatemi da quali riflessioni è nato questo disco doppio, perchè si chiama “Occidente” e quali sono i vostri modelli e riferimenti artistici principali.
“Occidente” è figlio del viaggio. E per viaggio non intendiamo tanto lo spostarsi, bensì un atteggiamento, una predisposizione d’animo.Il viaggio è quel meccanismo che porta all’apertura nei confronti di ciò che è altro rispetto al proprio baricentro. Paradossalmente si può viaggiare moltissimo anche restando fermi, mentre ci si può ritrovare a non avanzare di un passo anche se non si sta mai fermi.
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Qualsiasi riflessione può essere filtrata dalla lente del viaggiatore. Questo disco non ha un filo conduttore necessario, è molto lontano dall’impianto di un cencept album; eppure ha un atteggiamento costante, coerente, radicato.
E’ un disco “vasto”, che prende le immagini dall’alto, le coglie in corsa. L’idea di chiamarlo “Occidente” nasce proprio dall’esigenza di offrire un cappello sufficientemente ampio entro cui inscrivere tutti i pezzi. L’occidente è il punto di partenza, per molti aspetti malato, da cui si osservano la globalizzazione che incontra l’uomo e l’uomo che incontra la globalizzazione.
Con questo disco siamo riusciti, dopo tanti anni, a mettere a fuoco un suono particolare, in cui riconoscerci a pieno. Volendo necessariamente scindere le correnti che compongono questo fiume, possiamo provare a riassumere in 4 punti cardinali: canzone d’autore, punk e rock inglese, folk irlandese, francese e slavo e un deciso innesto di sonorità in levare (tra ska, reggae, dub e altro)… ma siamo sicuri che in questo modo ci siamo davvero spiegati???
Cosa racchiude “l’infedele idea di patchanka”?
La patchanka è una bella ragazza di vent’anni. Nasceva a fine anni ottanta nel laboratorio dei Mano Negra, guidato dal un Manu Chao poco più che ragazzino. La Patchanka è il suono globale. E’ la risposta sonora alle innovazioni politiche, culturali e sociali del nostro tempo. La Patchanka è miscuglio incoerente, è prendere a destra e a manca miscelando, unendo, accostando, frullando per raggiungere un impasto che sappia davvero sposarsi con la propria sensibilità. E’ l’unico genere a non essere un genere. Come il viaggio di cui parlavamo prima, è un atteggiamento. La nostra patchanka, dal momento che ognuno ne ha una, si schiude nei due cd con cui è composto Occidente. Vogliamo credere che possa custodire una risposta luminosa, positiva e propositiva nei confronti della diversità: un modo per prendere atto che molti steccati non esistono più, magari confrontandosi con questa realtà senza ritrovarsi a temerla.
Creative commons, musica condivisa e patrocinio della Free Hardware Foundation. La musica inizia a diventare realmente libera?
A dirla tutta la musica, in teoria, nascerebbe libera; basti pensare alla musica popolare. Solo da qualche decennio è stata ingabbiata dai meccanismi del mercato e della privatizzazione imperante e ha smesso di essere un ingrediente libero del sapere umano, diventando un oggetto vendibile e acquistabile, come qualsiasi bene di consumo. “Liberare” la musica è per noi una battaglia etica da un lato e di convenienza da un altro: pubblichiamo in Creative Commons perché VOGLIAMO che il nostro cd sia masterizzato, scaricato e “piratato”, perché crediamo che sia giusto che tutti abbiano accesso al sapere e perché crediamo che convenga a noi stessi, alla nostra attività, che molte copie digitali del nostro cd inizino a circolare tra il pubblico. La condivisione (andrebbe chiamata così, altro che “pirateria”) è manna per chi fa musica, perché fa circolare le idee e rende famosi anche gli “esclusi” dal circo del Mainstream. Siamo convinti che il processo di diffamazione delle reti P2P e della libera circolazione dei cd sia orchestrato ad arte da chi ha interesse a mantenere inalterato lo status quo. Lo status quo non può essere più tale perché i tempi sono cambiati. I Rein cercano di offrire delle risposte che vadano oltre la repressione voluta dal regime vigente.
Detto questo la musica NON inizia ad essere libera perché la gente non ha modo di conoscere il significato di questa parola. La battaglia è culturale e si preannuncia come difficile e impari. Ecco un buon motivo per parlane assieme, insomma!!
Che importanza hanno per voi le collaborazioni artistiche con altri musicisti, tra l’altro numerosissime nell’ultimo lavoro?
La collaborazione, la socialità, la condivisione, il “noi” al posto del “me” sono tutte risposte ad un modello di società individualista che genera una cultura della solitudine e della frustrazione. E’ stato un piacere, un onore e un grande risultato riuscire a portare nel nostro studio tanti fratelli. Abbiamo avuto un rapporto bellissimo con tutti loro. Spesso gli ospiti di questo cd hanno letteralmente arrangiato i pezzi, li hanno plasmati, ci hanno messo l’anima. Tutto il disco è stato lavorato in un clima semplicemente straordinario che assomigliava molto di più a una cena tra vecchi amici che non ad una seriosa sessione di recording… Si possono ringraziare ancora una volta anche qui? Si può?? GRAZIEE!!!!
L’8 giugno vi siete esibiti sul palco del Villaggio Globale. Che valore attribuite al calore del pubblico sotto il palco e più in generale alla dimensione live?
Che dire? Il live è un parte talmente importante in un’esperienza musicale che è anche difficile riuscire a riassumerlo in qualche frase. Una cosa però vale davvero la pena di dirla: un gruppo come il nostro, che ha fatto una scelta di fiera indipendenza con tutti i rischi che questo comporta, che non ha nessun tipo di copertura, che non ha “piaceri” o “favori” da riscuotere, vive solo ed esclusivamente grazie a quelle persone straordinarie che ogni volta vengono ai concerti, comprano i dischi, ti scrivono, ti fanno sentire che probabilmente sei molto meno solo di tanti che, magari stanno sotto riflettori più grandi.
L’altro giorno siamo rimasti sorpresi nel vedere che tanta gente era comunque venuta al concerto al Villaggio Globale: aveva piovuto tutto il giorno e in tutta sincerità eravamo davvero poco speranzosi, visto che avevamo detto che il concerto era all’aperto… poi a poco a poco queste straordinarie persone che non si arrendono a sentire quanto viene loro imposto, si sono presentate fino a riempire la sala interna del Villaggio, dove avevamo spostato tutto l’impianto per paura di altri acquazzoni. E allora è davvero necessario ringraziare di cuore anche tutti loro!
Rein – “Occidente” (recensione)
Come Wu Ming insegna, ogni individuo è anche homo fabulans e si contraddistingue per un insopprimibile bisogno di raccontare storie. E di sentirsele narrare. Anche se in questi tempi di stravaganti stimoli sensoriali ci lamentiamo per la perdita della consequenzialità e dell’anima del racconto romanzato, c’è ancora qualcuno che ama fantasticare intorno alle storie di viaggio, alla perenne ricerca di radici comuni e di segreti nascosti nella cultura planetaria.
I Rein, che ormai da anni tengono alta la bandiera del racconto puro e semplice, questa volta ci portano in un Occidente alimentato dal melting pot di culture diverse e spesso remote, un amalgama di elementi diversi e di sonorità attecchite nel presente o che si perdono nella notte dei tempi. Questo bel doppio disco dalla copertina arancio ha molto da dire e ancor più da dimostrare: da un lato ci dice che non sempre la musica può essere incanalata in rigidi recinti di genere, dall’altra dimostra che il principio della libera circolazione delle idee (il lavoro è stato pubblicato con licenze Creative Commons) può trasformarsi spesso in un conveniente escamotage per gli artisti stessi.
Il suono globale dei Rein comprende allo stesso tempo l’esotico e il made in Italy, così come il rock, il punk, il jazz, il blues, la musica popolare balcanica e irlandese, le sonorità britanniche e francesi, passando per la canzone d’autore e l’elettronica, per approdare infine all’idea (infedele) di patchanka. Il suono del mondo per antonomasia, il miscuglio dei generi e l’essenza del movimento.
I racconti si susseguono a ritmo serrato, arricchiti dal contributo di numerosi artisti vicini al mondo dei Rein, tra cui Bandabardò, Legittimo Brigantaggio, Valentina Lupi e Ratti della Sabina. Muovendosi da un lato all’altro del globo terrestre con estrema naturalezza, i brani toccano le realtà e le tematiche più varie, sviscerando in ogni modo l’idea del viaggio e del movimento perpetuo. Molto sottile e delicato il passaggio da “150 Sprint Veloce”, morbida e soffusa, a “Il Deserto di Piero”, che quando recita “Il sole bruciava i nostri vent’anni rubati ai monti e rubati al mare, messi sul treno una mattina per la leva militare”, è bella così per la sua naturalezza, e non ha certo bisogno di un commento critico.
Track List
Disco 1
1. Occidente
2. Sud (#2)
3. 150 Sprint Veloce
4. Il Deserto di Piero
5. La canzone di Diana
6. Est
7. Quattro e mezza
8. Settembre (#3)
9. Il ponte di Mostar
10. Genova
Disco 2
1. Grandtour
2. Canzone dell’Irlanda occidentale
3. Boulevard Mont Vert
4. Verso san Paolo
5. Sudamerica
6. Discorsi a vapore
7. I tram di Roma
8. Il ventesimo giorno
9. Il ricordo delle tue mani
10. L’epilogo
I Rein sono:
Gianluca Bernardo (voce e chitarra)
Claudio “Pozzio” Mancini (chitarre)
Luca De Giuliani (chitarra elettrica, piano e synth)
Pierluigi Toni (basso e contrabbasso)
Gabriele Petrella (batteria, percussioni e cori)
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